Dopo le buone notizie dell’ultima settimana (la sentenza della Cassazione sulla Cannabis light e le nuove raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità sulla depenalizzazione), dalla Sardegna arriva una doccia fredda che ci riporta per un attimo con i piedi per terra. La mannaia proibizionista ha infatti tagliato sul nascere la possibilità per i cittadini sardi di esprimersi sulla Cannabis.
L’Ufficio regionale per il referendum, infatti, ha detto no ancora una volta. Dopo aver bocciato quello sull’insularità, ha dichiarato inammissibili anche i quattro che mesi fa erano stati proposti dal comitato Pro Sardinia. Nonostante siano state raccolte oltre sessantamila firme in quattro mesi, i sardi non potranno dire cosa pensano sulla possibilità di produrre la cannabis terapeutica, o sul fatto che il mercato degli stupefacenti leggeri sia regolamentato e non più illegale. Inoltre non ci sarà neanche un referendum per sollecitare che ci siano maggiori competenze della Regione in materia di strade e neanche quello che avrebbe potuto accelerare l’avvio dei punti franchi previsti 70 anni fa dallo Statuto e nel 1998 dallo Stato ma ancora bloccati.
“Con motivazione che noi riteniamo pretestuose e superficiali – ha detto il consigliere regionale Paolo Zedda, candidato con Leu-Mpd alle Regionali (da non confondere con il candidato presidente del centrosinistra Massimo Zedda) – l’Ufficio regionale ha messo il bavaglio ai sardi, impedendo agli elettori di esprimersi su quattro temi importanti e delicati“. Ad esempio sulla cannabis terapeutica, ha proseguito Zedda, “l’Ufficio sostiene che quella prodotta finora dall’Istituto militare farmaceutico di Firenze è sufficiente e quella importata sono sufficienti per soddisfare le richieste, ma noi sappiamo invece che le quantità a disposizione sono minime e lo stesso ministro alla salute ha annunciato nuovi accordi per aumentare la produzione”.
Quello sul mercato della cannabis invece l’Ufficio centrale non è stato ammesso perché “l’Italia ha firmato diverse convenzioni internazionali per bloccare il traffico e la diffusione delle sostanze stupefacenti, e quelle convenzioni vanno rispettate”.
Ma per il Comitato “ci sono Stati che quegli accordi li hanno sottoscritte, come l’Olanda, gli Usa e il Canada, eppure hanno legalizzato la vendita della cannabis di recente o addirittura vent’anni fa, per evitare che fosse controllata ancora dalla criminalità organizzata. Per noi era giusto che i sardi potessero esprimersi, con un referendum consultivo, sia sulla questione morale e sia su una possibile depenalizzazione dopo“.