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Occhio al greenwashing, cosa si nasconde dietro al marketing?

Molte grandi multinazionali, spesso di settori tra i più inquinanti, si costruiscono un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale

Mai come oggi si assiste ad una proliferazione di prodotti green, eco, bio, riciclabili e quant´altro. Questo passo dovrebbe rappresentare una scelta quasi obbligata per tutte le piccole e medie aziende italiane. La sostenibilità rappresenta infatti un valore aggiunto, che unito alla qualità dei prodotti può consentire a queste di emerge in un contesto globale ipercompetitivo. É questo il caso del distretto del tessile di Prato, che investendo in sostenibilità e ricerca è riuscito ad uscire da una pesante crisi di tutto il settore. Per il sistema Italia la strada è ancora lunga. Basti pensare che, nonostante un trend assolutamente in crescita, le aziende agricole bio in Italia rappresentano oggi solo 4,5 % delle aziende agricole totali e occupano il 15,4% della superficie agricola utilizzata a livello nazionale. 

Quello che però è ormai sotto gli occhi di tutti è che a portare avanti questo cambiamento sono soprattutto le grandi multinazionali. Cosmetici, alimentari, moda, energia. Sono sempre più le pubblicità in cui il claim green viene fatto emergere con forza, soprattutto per tipologie di prodotti che storicamente associamo all´inquinamento ambientale e lo sfruttamento incondizionato delle risorse. E’ il fenomeno del greenwashing, attraverso cui aziende di settori tra i più inquinanti al mondo si costruiscono un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale.

Tra le più (in)famose potremmo citare la più nota multinazionale del fast food, che ha avviato una campagna di sensibilizzazione contro l’utilizzo delle cannucce di plastica monouso. Se è indubbio che queste assieme ai noti cotton fioc costituiscano uno dei problemi maggiori per la fauna marina ed uno specchio dei nostri comportamenti di consumo, votati appunto all’ “usa e getta”, basta uno sguardo attento per capire che qualcosa non va. Si perché il volantino su cui viene pubblicizzata l’iniziativa è stampato su un foglio di carta lucida e non riciclata. Una scelta sicuramente non sostenibile e che dimostra come nella maggior parte dei casi il problema venga affrontato con iniziative spot e non con un approccio complessivo. Tralasciamo poi il fatto che nessun riferimento viene fatto in merito all’impatto ambientale della produzione della carne, dei trasporti e della logistica. Oltre a ciò si è scoperto che le alternative proposte, ovvero le cannucce di carta, non vengono riciclate, bensì conferite direttamente nell’indifferenziato.

Questa tendenza non riguarda solo l’economia. Lo stesso discorso si può applicare alla politica. Anche in Italia i partiti sono ormai tutti d’accordo nell’affermare la necessità di intervenire per tutelare l’ambiente in cui viviamo. Ma al di là dei proclami altisonanti quali soluzioni vengono proposte? E si tratta di proposte strutturali o di iniziative spot?

C´è una cosa che accomuna i partiti politici e le multinazionali. Il fatto di avere un mercato di riferimento, in questo caso costituito da cittadini – consumatori. “Consumo dunque sono” scrisse Zygmunt Bauman, parafrasando il famoso detto attribuito a Cartesio . E non a caso le campagne di comunicazione, sia a carattere commerciale che politico, sono pensate proprio per noi, per prenderci all’amo. In questo caso specifico per farci credere che senza cambiare radicalmente il nostro stile di vita e i nostri comportamenti di consumo – insomma, senza impegnarci troppo – ma semplicemente usando un prodotto o votando per un partito o l’altro possiamo comunque contribuire positivamente a proteggere l’ambiente in cui viviamo. 

Purtroppo le cose non stanno così. Il Global Footprint Network stima che al momento stiamo consumando risorse equivalenti a quelle di 1,75 pianeti Terra con la conseguenza che l´Earth Overshoot Day cade sempre prima di anno in anno. Senza un impegno concreto individuale che porti a rivedere complessivamente le nostre azioni di consumo nella vita di tutti i giorni non sarà possibile raggiungere risultati tali da riuscire effettivamente a fare fronte ai cambiamenti climatici.  

Quello che possiamo fare tutti senza troppa difficoltà è essere attenti, informarci per essere più consapevoli e anche critici. Un aiuto viene da certificazioni ed etichettature che evidenziano l’aderenza delle aziende produttive a specifici regimi di risparmio energetico e tutela ambientale. Tra questi si distinguono principalmente gli standard internazionali ISO ed EMAS e marchi come Energy Star ©, DAP (Dichiarazione ambientale di prodotto) e lo stesso marchio Bio.

Tutto dipende però dalla nostra capacità di cercare e riconoscere questi marchi e certificazioni, perché è attraverso la nostra domanda di beni che possiamo influenzare il mercato. Una precondizione che dovremmo applicare anche alle proposte della politica, e pretendere che queste non rimangano slogan ma vengano riempite di contenuti e sostanza.

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