E’ consentita la coltivazione di piantine di cannabis sul balcone e in generale alla coltivazione domestica della marijuana purché a uso strettamente personale del solo coltivatore, escluso ogni utilizzo destinato al mercato degli stupefacenti. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni depositate oggi dalle Sezioni Unite penali e relative all’udienza svoltasi lo scorso 19 dicembre della quale era già stato reso noto l’esito.
Con questo verdetto è stato accolto il ricorso di un trentenne campano condannato a un anno di reclusione e tremila euro di multa perchè in casa aveva due ‘piantine’ e una riserva di circa 11 grammi di cannabis. Ora la Corte di Appello di Napoli dovrà riesaminare il caso.
Ad avviso degli ‘ermellini “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente”, rileva la Corte, secondo la quale però “devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
Le sanzioni previste dall’articolo 75 del Testo unico sulle droghe (Dpr 309/1990) non si applicano infatti, spiegano gli ‘alti’ giudici, alla “coltivazione domestica destinata all’autoconsumo”, perchè “tale disposizione non si riferisce in nessun caso alla coltivazione, neanche a quella penalmente rilevante”.
Nel caso in cui, continua la Cassazione, “la coltivazione domestica a fini di autoconsumo produca effettivamente una sostanza stupefacente dotata di efficacia drogante, le sanzioni amministrative potranno essere applicate al soggetto agente considerato non come coltivatore, ma come detentore di sostanza destinata a uso personale”.
La risposta punitiva rispetto alla coltivazione di piante stupefacenti, osserva ancora la Corte, avviene infatti secondo una “graduazione”: “devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo, per mancanza di tipicità, nonchè la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente per mancanza di offensività in concreto”, si legge nella sentenza, mentre la “detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo”. Quanto, infine, alla coltivazione “penalmente illecita”, restano comunque applicabili sia il principio di non punibilità se ricorrono i presupposti della “tenuità del fatto”, sia la “lieve entità” di cui parla l’articolo 73 del testo unico sulle droghe.
Cerchiamo di tradurre il linguaggio giuridico
Ci troviamo di fronte ad una notizia parzialmente positiva perché viene specificata che la coltivazione domestica non è riconducibile al Testo unico sugli stupefacenti. Ribadendo quanto già anticipato nell’udienza dello scorso 19 dicembre cui sono legate queste motivazioni. Quindi se si parla di poche piante non può esserci reato penale, suggeriscono gli ermellini. Ovviamente non è legge e non c’è alcuna depenalizzazione. Restano anche alcune incognite legate in particolare al passaggio in cui si fa riferimento “alle rudimentali tecniche di coltivazione”. Ma siamo comunque di fronte a un capitolo importante sebbene tutt’altro che definitivo e chiuso. Insomma, la lotta continua. Soprattutto dopo questo piccolo passo in avanti.