La ricorrente azione penale dell’Autorità Giudiziaria sui coltivatori e rivenditori di canapa light sta creando forte allarmismo fra gli addetti ai lavori i quali vedono mettere a rischio investimenti, energie e sforzi economici. La paura, lecita, è rappresentata soprattutto dalla carenza informativa nell’essere difesi in sede istruttoria (indagini giudiziarie e analisi di laboratorio) e di dibattimento laddove il procedimento sfociasse poi in Tribunale.
In questa circostanza, è di fondamentale importanza avvalersi di avvocato ferrato su questo argomento e di un consulente tossicologo esperto di normative e procedure analitiche chimico-tossicologiche.
Occorre fare una piccola premessa: ogni stato europeo ha una propria normativa di riferimento per quanto concerne la produzione e la vendita di canapa e prodotti derivati. In Italia la legge di riferimento in materia di coltivazione di canapa è il D.lgs. 242/2016 (disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa) attraverso la quale si fa espressamente riferimento alla possibilità di coltivare e vendere infiorescenze di canapa rendendo legale la coltivazione di canapa a basso contenuto di Δ9-THC (cannabis light) purché tali prodotti derivino da una delle varietà ammesse registrate nel Catalogo dell’Unione Europea delle Sementi e il contenuto complessivo di Δ9-THC non superi i livelli stabiliti dalla normativa.
Di contro, vi è quanto riportato nella recente sentenza della Cassazione (Sezioni Unite n. 30475/2019) la quale ha affermato il principio per cui la cessione, la vendita e in genere la commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L. quali foglie, infiorescenze, olio, resina, è una condotta che integra il reato di cui all’art. 73 del DPR 309/90 anche a fronte di un contenuto di Δ9-THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4 comma 5 e 7 della legge 242/16, specificando però “… fatto salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”. Viene stabilito, in sostanza, che i prodotti in questione (cannabis light), non rientrando nell’applicativo delle disposizioni della 242/16, debbano considerarsi sostanza stupefacente la cui detenzione e/o cessione costituisce un reato, salvo che si tratti di prodotti privi di efficacia drogante o psicotropa.
A questo punto è necessario capire cosa si intende per dose drogante e qual è il limite dell’efficacia drogante.
Focalizzando l’attenzione sulla letteratura scientifica, va rilevato che negli studi esaminati non si fa menzione del concetto di dose drogante ma più in generale vengono riportate ricerche cliniche compiute su popolazioni controllate nella prospettiva di verificare uno o più effetti terapeutici. Ciò è supportato da diversi documenti ufficiali come quello proveniente da un gruppo di lavoro tra il ministero della Salute e del ministero della Difesa del novembre 2016 sulla sostanza vegetale cannabis il quale riporta studi sugli effetti clinici analgesici, antiemetici, ipotensivi nel glaucoma ed altri, per assunzioni di 16-34 mg di Δ9-THC oppure quello del Consiglio Superiore di Sanità (C.S.S.) nella nota del 10/4/2018 che riporta uno studio dell’effetto antalgico con assunzioni di 2-22 mg di Δ9-THC.
Anche testi di farmacologia generale riportano studi dell’azione terapeutica antiemetica per assunzioni di 5-15 mg di Δ9-THC e il portale del Network nazionale sulle Dipendenze riferisce effetti psicotropi dopo assunzione di piccole dosi di Δ9-THC (5-10 mg).
L’unico riferimento al concetto di soglia stupefacente è quello presente nella nota del ministero dell’Interno del luglio 2018 dove si legge: “le infiorescenze con tenore superiore allo 0,5% rientrano nella nozione di sostanze stupefacenti. Per la cannabis, sia la tossicologia forense che la letteratura scientifica individuano tale soglia attorno ai 5 mg di Δ9-THC che in termini percentuali equivalgono allo 0,5%, calcolato su uno spinello/sigaretta artigianale confezionato da 1 grammo”. Nell’ambito di una applicazione, tale indicazioni permette di stabilire una soglia minima al di sotto della quale il prodotto canapa perde qualsiasi efficacia intossicante (stupefacente e/o psicotropa).
Se fino ad oggi i prodotti finali della pianta cannabis, cioè infiorescenze essiccate contenenti il principio attivo Δ9-THC, rientravano integralmente nell’ambito di applicazione del T.U. degli stupefacenti, con l’entrata in vigore della legge 242/2016 il legislatore ha aperto spazi alla coltivazione di piante di cannabis con principio attivo di Δ9-THC inferiore o uguale allo 0,6%. Ciò ha favorito diverse aziende agricole a proporre una vasta gamma di prodotti contenenti il principio attivo nei valori consentiti, definiti inoffensivi, presupponendo che la liceità della coltivazione della pianta con queste caratteristiche portasse con se anche la possibilità di distribuire i prodotti derivati, oltre che nell’industria, anche nei punti di vendita (c.d. canapa shop).
In tale prospettiva, nella definizione di soglia/effetto drogante, in concreto, si dovrà considerare che per confezionare uno spinello contenente canapa con una percentuale di Δ9-THC pari allo 0,5%, occorrerà fumare una quantità di prodotto del peso di almeno 5 grammi (spinello di grandi dimensioni) anziché di 1 grammo (peso convenzionale della sigaretta artigianale considerato dai tecnici del settore) onde arrivare ad assumere una dose drogante da 25 mg di Δ9-THC, come indicato nel D.P.R. 309/90. E’ come dire: bere una bevanda a bassa gradazione alcolica dove, per avere un minimo effetto psicotropo (ebbrezza), è necessario ingerirne in un unica volta 10 litri.
Alla luce di questa breve esposizione appare sempre più indicata la figura del tossicologo forense che sia in grado di esprimere la reale efficacia drogante della canapa sequestrata. Abbiamo visto che le Sezioni Unite, a fronte della censura stabilita dall’art.73 del DPR 309/90, ha lasciato aperta la porta sull’interpretazione del valore percentuale (quindi del quantitativo) determinato dall’analisi chimico-strumentale. Per esprimere il parere sulla soglia drogante il tossicologo deve avvalersi di dati analitici certi. Come descritto in articoli precedentemente pubblicati su questa rivista, l’esito dell’analisi di laboratorio proviene dalla qualità della strumentazione utilizzata (LC/MS o GC-FID, quest’ultima è quella richiesta dalla normativa europea ed è utilizzata dalle strutture incaricate dalla procura quali Polizia Scientifica, R.I.S. Carabinieri, Dogane, Istituti di Medicina Legale) e dalla procedura analitica adottata (solvente di estrazione del principio attivo, metodo di calcolo del principio attivo). Ma, soprattutto, dipende dalla campionatura ovvero dal numero di campioni prelevati da una determinata qualità di pianta di canapa ed analizzati. Sappiamo che il valore assoluto (in questo del Δ9-THC) non esiste. Esiste, in via statistica, quello più vicino alla realtà che si ottiene solo con un ampia ed omogenea campionatura. E’ noto come la variabilità del contenuto del Δ9-THC sia presente in piante della stessa semenza e, purtroppo, anche nella stessa infiorescenza. Eseguendo una limitata campionatura (1-2 prelievi) su un significativo sequestro di canapa, si corre il rischio di prelevare una parte a maggiore o minore contenuto di Δ9-THC situazione che, se non sostenuto da altri dati analitici, non corrispondente a verità analitica. Se il dato di laboratorio proveniente da una insufficiente campionatura risulta essere superiore allo 0,6%, inesorabilmente si scivola nella compromissione del raccolto (richiesta di distruzione) o della canapa acquistata (confisca e distruzione) se non nella propria posizione di fronte alla legge (indagato con possibile arresto).
Per questo motivo l’ausilio del C.T.P. nei sequestri di canapa realizzati dall’Autorità Giudiziaria risulta indispensabile, sia per la tutela dell’indagato sia per indirizzare il C.T. incaricato dalla procura ad eseguire un numero superiore di campioni sia per visionare il suo operato, operazioni che insieme contribuiscono ad avere un risultato di laboratorio obiettivo, il più vicino a quello reale.
Mauro Iacoppini è tossicologo forense presso la sezione di Medicina Legale dell’Università La Sapienza di Roma. Info@studioperitaleiacoppini.it