Le forti piogge, gli uragani seguiti dalla forte siccità e il maltempo in generale hanno messo in ginocchio i campi di canapa in Giamaica. Una contraddizione in essere, nel Paese in cui la cannabis è la protagonista indiscussa.
Ma non è solo colpa del tempo meteorologico, se un’economia è entrata in crisi: dobbiamo aggiungere anche l’emergenza Covid che ha imposto molte limitazioni al paese, fra cui la libera circolazione dalle 22 alle 6 del mattino. Nonostante la Giamaica sia stata uno dei primi paesi dell’America latina ad aver legalizzato la cannabis, a sorreggere l’offerta nel Paese continua ad essere la produzione illegale. Con le tante limitazioni, i contadini che operano nel mercato illegale non hanno potuto prendersi cura delle loro piante di notte, come erano soliti fare per scappare dai controlli della polizia. Da qui la crisi nera e senza precedenti.
«È il momento peggiore di cui ho memoria, oltre che una vergogna culturale», denuncia Triston Thompson, dirigente di Tacaya, una società di consulenza della nascente industria della cannabis legale. E in effetti la crisi ha messo in luce tutti i limiti di una legalizzazione incompleta.
Da 6 anni la marijuana in Giamaica è stata legalizzata: chiunque sull’isola può coltivare fino a cinque piantine per consumo personale, mentre ai religiosi rastafariani – e ce ne sono molti -non si pongono limiti di uso così come gli adepti, che possono fumare quanto vogliono.