Dal 1° gennaio 2020, con la legge di bilancio n.160/2019, “cartine, cartine arrotolate senza tabacco e i filtri, funzionali al consumo dei trinciati a taglio fino per arrotolare le sigarette” sono sotto il controllo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Una scelta volta a dissuadere i tabagisti dall’autoproduzione di sigarette innalzando i costi dei prodotti accessori del “tabacco trinciato a taglio fino” e rendendola una rivendita esclusiva dei tabaccai.
Il divieto esplicito di vendita di cartine e filtri, firmato dal direttore facente funzione delle Dogane Roberta de Robertis, è diretto soprattutto ai supermercati e ai negozi etnici (in particolare quelli cinesi). Ma chi ha accusato maggiormente il colpo sono i grow shop, tanto per cambiare. La perdita per loro è duplice perché riguarda sia una riduzione nella varietà dei prodotti offerti sia la costante, seppur piccola, entrata garantita dalla vendita di questi prodotti di uso comune. Queste attività commerciali, dal momento in cui sono cambiate le regole, hanno avuto trenta giorni per liberarsi del materiale. Da febbraio 2019 la presenza in negozio di Pop filter, pre rolled e Juicy Jay’s è considerabile “frode ai danni dello stato”. Ad oggi, fornitori italiani ed esteri sono obbligati al pagamento della nuova imposta di consumo secondo le tabelle di commercializzazione del prodotto.
La cultura della cartina e del filtro di fatto sta scomparendo pian piano.
Niente più menú delle cartine: carta di riso, carta di canapa, cellulosa, sfumature di micron, trame e orditi anti-cucchiaio, antivento, colorate, gustose…c’è chi conserva ancora qualche superstite cartina rosa vintage.
I cambiamenti si sentono: gli introiti di piccole e medie attività commerciali sono variati di pochi euro sugli incassi della giornata, che equivalgono, però, a centinaia a fine mese. Il cliente di passaggio, il collezionista meticoloso e l’amico in cerca di un regalo particolare non si fermano più e alla fine del mese è più difficile coprire piccole e medie spese come utenze e forniture.
Per fortuna con il lockdown, almeno, sono incrementati i consumi di Cbd in ogni forma. E i grow/hemp shop hanno risentito meno del calo di fatturato. Com’è noto, infatti il marzo del 2020 sarà ricordato dalla filiera cannabica come l’anno del boom con il +300% di vendite di cannabis light.
Se la cannabis light seguisse la stessa strada del monopolio?
Tra gli emendamenti in legge di bilancio per il 2021 sono state avanzate proposte di tassazione per le infiorescenze di cannabis light che fortunatamente non sono passate. Tra le proposte riguardanti la legalizzazione della cannabis a uso ludico, ne troviamo infatti una che prevede la distribuzione controllata dallo Stato tramite licenze e collegata ad accise.
Una maggior definizione del prodotto e chiarezza normativa è auspicabile, ma qualora la vendita fosse esclusiva dei tabaccai, si potrebbe vedere un incremento del prezzo al pubblico a fronte di una qualità più bassa del prodotto rispetto a quello che attualmente si trova nei cannabis light shop? Potrebbe nascere un mercato nero dei prodotti CBD in risposta all’incremento del prezzo dato dalle accise? Nel caso in cui fossero applicate delle accise anche sulla cannabis light non stupefacente, cosa potrebbe accadere alle attività che si basano sulla rivendita di fiori CBD e che al momento già subiscono la “concorrenza” del mercato nero della cannabis di strada con principio attivo stupefacente?
Tutte queste domande le abbiamo rigirate al Prof. Marco Sabatino Rossi, dell’Università La Sapienza di Roma. “La scelta del consumatore – ci ha detto il Prof – dovrebbe basarsi sul confronto tra prezzo cum tax (legale) oppure prezzo più costi di transazione (illegale), cioè dipende dal valore della tassa, da una parte, e dal rischio di intercettazione e relativi sanzioni dall’altra. Se il prezzo con tassa fosse abbastanza basso non sarebbe conveniente rivolgersi al mercato nero, almeno per modeste quantità. Qualora, invece, l’imposta fosse troppo elevata o il costo atteso delle sanzioni modesto, allora l’offerta illegale competerebbe con la legale. Inoltre dipende dalla regolamentazione della produzione, se inadeguata, come accade con la cannabis terapeutica prodotta dai militari di Firenze, lascia spazio al mercato nero. Se, viceversa, la coltivazione fosse liberalizzata, allora, la concorrenza tra produttori dovrebbe andare incontro alle preferenze degli acquirenti .”
Come è successo per gli accessori da fumo che ha portato ad un impoverimento del mercato, allo stesso modo introdurre il monopolio della cannabis light, contribuirebbe alla perdita della cultura legata alla pianta e la standardizzazione del prodotto. Nello scenario futuro del mercato è necessario lasciare uno spazio nella filiera a coloro che ne hanno preso parte dalla nascita fino ad oggi. Non è solo una questione di giustizia ma anche di garanzia di qualità.