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Perché scrivere di canapa oggi?

L’argomento sembra completamente uscito dai radar dell’informazione e della politica, se non per parlarne male e legiferare peggio. Eppure, credo che non ci sia momento migliore per parlare di canapa
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Perché scrivere di canapa oggi?

L’argomento sembra completamente uscito dai radar dell’informazione e della politica, se non per parlarne male e legiferare peggio.

Anche chi è a favore appare stanco e sconfortato dopo quasi cinquant’anni di inutili tentativi di abbattere il muro di gomma dell’ignoranza. È stato inutile raccogliere dati, condividere studi, portare gli esempi dei paesi che hanno avviato un percorso di regolamentazione. Non hanno avuto effetto pareri autorevoli, come quelli della Direzione Nazionale Antimafia; i proibizionisti sono rimasti cocciutamente aggrappati a bufale vecchie di novant’anni.

Anche i tentativi della società civile di far sentire la propria voce – attraverso proposte di legge popolari o con centinaia di migliaia di firme raccolte in pochi giorni per il referendum – vengono boicottati da un Parlamento pavido e da organi di garanzia evidentemente politicizzati.

Eppure, credo che non ci sia momento migliore per parlare di canapa. L’aria sta cambiando in fretta: il resto del mondo cavalca l’onda della rivoluzione verde, mentre l’Italia – patria della canapa – resta a guardare, prigioniera di un pregiudizio radicato come un parassita ostinato.

Ma quest’onda non potrà che travolgerci. Al di fuori della nostra piccola bolla di ignoranza e bigottismo, la stupidità delle nostre norme è evidente e, presto o tardi, dovremo adeguarci.

È vero: questo è certamente il governo peggiore che potevamo aspettarci. Le attuali politiche aumentano ulteriormente la discriminazione nei confronti di chi utilizza la canapa. Non solo per chi ne fa un uso personale, “ricreativo” come viene spesso definito, ma anche per chi utilizza la cannabis terapeutica dietro regolare prescrizione medica. E persino per chi coltiva e commercia canapa industriale quella che per legge deve avere una concentrazione di THC inferiore allo 0,6% – che viene stigmatizzato e trattato alla stregua di un narcotrafficante.

Per questo è fondamentale non mollare, non lasciarsi sopraffare dallo sconforto. Non certo per convincere i proibizionisti, che volutamente ignorano i dati e la scienza, facendo propaganda con menzogne nuove o vecchie. Ma perché abbiamo il dovere di informare quella parte della popolazione che non ha pregiudizi nei confronti della canapa, ma è convinta che il tema non sia prioritario.

Dobbiamo far capire a questa maggioranza disinformata quanto potrebbe offrire questa pianta in termini di salute, diritti, tutela dell’ambiente, contrasto alla criminalità organizzata e quale volano potrebbe rappresentare per la stanca economia del nostro Paese.

Per questo, nel mio libro, “Una pianta ci salverà”, ho voluto ripartire da ciò che la canapa è davvero: una delle prime piante addomesticate dall’uomo, che ci ha accompagnato per millenni vestendoci, sfamandoci, scaldandoci, curandoci.

È da qui che dobbiamo ripartire. Sono convinto che presto la propaganda dovrà cedere il passo al buonsenso. Nel frattempo, però, migliaia di imprenditori che chiedono solo norme chiare per poter lavorare vengono ostacolati in tutti i modi. È una profonda ingiustizia e posso dirvi solo: “tenete duro”, la vostra perseveranza è eroica, e sono certo che presto sarà premiata.

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