Stiamo tutti aspettando. E non potrebbe essere altrimenti. La data del 30 maggio prossimo segnerà uno spartiacque importante e indicherà la strada per il futuro nel settore, sempre più tormentato, della canapa.
Nonostante le sparate ad effetto di Salvini, nonostante le prese di posizione troppo deboli di M5s e Pd, la politica ha deciso di non decidere. Al posto suo lo faranno le Sezioni unite della Cassazione che, per ovvie ragioni, non promulgheranno una nuova legge, ma daranno, si spera, un’indicazione chiara non solo ai consumatori di prodotti a base di canapa ma anche, e soprattutto, a chi in questo settore ci ha investito. Si tratta per lo più di giovani, attenti all’ambiente e ad un futuro sostenibile (nell’arco di tempo di neanche tre anni sono stati rimessi a coltivazione più di 3mila ettari di terreno). Una categoria che lo Stato dovrebbe sostenere anche perché il giro di soldi che genera è notevole: si parla di circa 150 milioni di euro e 10mila nuovi posti di lavoro (tra negozianti, agricoltori e marchi nati per la commercializzazione). Un piccolo miracolo per la nostra economia stagnante.
Lo abbiamo scritto tante volte ma è bene ribadirlo: che cos’è che deciderà la Cassazione? La legge 242 del 2016 prevede che sia legale coltivare canapa con un Thc inferiore allo 0,2 e che rientri in una delle 64 varietà definite “industriali” dal catalogo europeo. Sul nostro territorio però, avendo un clima prettamente mediterraneo, non è semplice coltivare una pianta che sia sempre e rigorosamente sotto lo 0,2%: per questo è prevista una soglia di tolleranza che arriva massimo fino a 0,6% di Thc. Ma questa tolleranza vale solo per gli agricoltori o anche per i commercianti? Ad oggi diverse Sezioni della Cassazione hanno dato diversi orientamenti, ed ecco perché la Corte si pronuncerà a Sezioni Unite: per dare una risposta univoca. Quando si deciderà come procedere, la legge verrà applicata per tutti nella stessa maniera e i negozianti, così come gli agricoltori, saranno più tutelati. Quello che sta a cuore ai proprietari dei cannabis shop – oltre 10mila in Italia – riniti nell’Aical è che questi limiti definiti per legge non cambino. Ci spiega Riccardo Ricci, Presidente dell’Associazione: “Se dovessero cambiare provocherebbero un danno economico senza precedenti in un settore in pieno sviluppo. Gli agricoltori devono essere tutelati e devono avere certezze per la coltivazione, le regole non possono cambiare in corso d’opera”.
Ma non è l’unico problema da risolvere. La legge 246/16 è infatti fumosa anche su altri aspetti, che devono essere chiariti. Per esempio la questione delle infiorescenze e delle resine, che non sono menzionate direttamente nella legge. Ma questo vuol dire che non si possono vendere prodotti che contengono i fiori di canapa? E allora come dovrebbe essere trattato il fiore? “La risposta più semplice ed immediata”, ci spiega l’avvocato Giacomo Bulleri “è che, essendo stata esclusa dalle sostanze stupefacenti, venga trattata al pari di una pianta agricola. Ma è difficile che la sentenza della Corte risolva questa controversia. Probabilmente si limiterà a pronunciarsi sulla cannabis light lasciando aperte le altre questioni legate a prodotti derivanti da un fiore considerato ancora illegale. In attesa che la politica dia risposte con una nuova legge”.
Un’altra questione da chiarire con urgenza è la definizione d’uso del prodotto. Oggi nei canapa shop troviamo sull’erba in vendita diciture fantasiose come “uso tecnico” o “non atto alla combustione” oppure “finalità di ricerca e sviluppo” per dire che non è possibile fumarla. Quello che poi succede in casa del compratore non è affare – né responsabilità – del commerciante. Eppure sarebbe il caso di superare questo paradosso e trovare una soluzione, visto, come ricorda Bulleri, che la liceità della vendita è già inserita nella legge del 2016. L’Aical propone di rifarsi alla legge in vigore per le sigarette elettroniche per una commercializzazione libera. Ci spiega ancora Ricci: “Adesso troviamo la cannabis light in moltissimi tipi di negozi, dall’edicola al tabaccaio, passando per le erboristerie. Non c’è dubbio che il prodotto più venduto sia la cannabis light ma il nostro obiettivo, però, non è solo vendere. Vogliamo tutelare tutta la filiera della canapa e mettere in atto un vero e proprio messaggio di sensibilizzazione culturale sui benefici che questa pianta può dare a tutti. Chi compra l’erba si informa anche sulla pasta, sulle proprietà dei prodotti alimentari o cosmetici: scopre un mondo che non conosceva. Per questo ci battiamo affinché solo chi fattura il 51% di prodotti a base di canapa possa vendere la cannabis light. Dobbiamo e vogliamo tutelare i negozi specializzati”.
Fare previsioni su quello che succederà il 30 maggio è difficile. M quello che si spera è chiaro: qualche certezza in più che dia sicurezza a tutti quelli che hanno investito in questo settore. E l’augurio che prevalga il buon senso. Ci spiega Bulleri: “In fondo si tratta di capire se prevarrà una visione più restrittiva o più libertaria della legge. La cosa migliore ovviamente sarebbe che fosse confermata la sentenza 4920 del 2019, la quale definisce che esiste liceità dei prodotti derivati dalla canapa contenenti una quantità di principio attivo inferiore allo 0.6% e che non possono essere considerati (ai fini giuridici) sostanza stupefacente. Se così non fosse e dovesse prevalere una lettura più restrittiva sarebbe molto pericoloso perché si porrebbero dei limiti ad un mercato su cui si è investito molto e si limiterebbero anche le libertà individuali. Oggi toccherebbe alla cannabis e domani?”.