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“Il proibizionismo può essere sconfitto ma serve un fronte unito e trasversale”. Parla Antonella Soldo

Quante volte abbiamo detto che parlare di cannabis nel nostro Paese è un’impresa eccezionale. Negli anni, nonostante il mondo sia andato avanti e nonostante gli studi ci abbiano aperto gli occhi, i pregiudizi sono rimasti cristallizzati in un tempo sospeso. C’è chi – e sono tanti – però, non smette di lottare, chi continua a credere che una luce nel dibattito oscurantista si possa ancora accendere. Non per una questione di polarizzazione o di schieramento ma più semplicemente per ragioni di buon senso. Abbiamo parlato di questo movimento eterogeneo con Antonella Soldo, esperta di politiche sulle droghe, e coordinatrice della campagna Meglio Legale, per la legalizzazione della cannabis e per una diversa gestione del fenomeno del consumo degli stupefacenti.  

Perché è proprio questo il momento giusto per legalizzare la cannabis? 

“E’ ora più di prima perché la crisi che stiamo attraversando dopo l’emergenza del Coronavirus, ha bisogno di riforme strutturali e la legalizzazione prevede cambiamenti strutturali di lungo periodo. La portata economica della legalizzazione non può più essere ignorata. Quando si parla di futuro e si convocano gli Stati Generali, come ha fatto Conte nelle settimane scorse, non è accettabile non parlare anche di cannabis, visto che porterebbe nelle casse dello stato ben 7 miliardi di euro e 350mila posti di lavoro. E soprattutto toglierebbe almeno una grossa fetta di potere alle mafie, che in questo momento sono molto più aggressive, perché quando c’è una fragilità si fanno sentire con tutta la loro forza”. 

Forse in passato non si è molto puntato sull’aspetto economico della legalizzazione, è il sintomo che i movimenti proibizionisti stanno diventando più maturi? 

“Più che altro c’è una presa di atto di quello che sta succedendo nel mondo. Noi oggi possiamo studiare le esperienze dei Paesi in cui la legalizzazione è già realtà da tempo e sappiamo gli effetti che ha avuto. Per esempio lo stato di Washington ha legalizzato nel 2012 e i report ci dicono che il consumo non è aumentato, che fra i minori il consumo è sotto controllo, che è aumentata la sicurezza nelle strade e che si è creato un mercato lecito, legale e alla luce del sole. Da patria del proibizionismo, e soprattutto del capitalismo, gli Usa hanno saputo cambiare totalmente approccio e non è un caso: si è capito dove si poteva fare business. In Italia si preferisce andare anche contro i propri interessi e parlare in maniera seria e completa di cannabis rimane difficile”.  

Quali difficoltà avete trovato nel concreto? 

“Facciamo davvero una grande fatica nel cercare un varco per parlare nelle sedi istituzionali ma anche nei media, perché la cannabis è ancora vittima totalmente di tabù. Si pensi che Atac a Roma ha bloccato la nostra richiesta di affissioni a pagamento sugli autobus per una campagna seria, moderata e rispettosa che mostrava semplicemente i benefici di una legalizzazione nel nostro Paese. Il motivo? Non è in linea con la politica aziendale. In queste condizioni è veramente difficile fare informazione. Si è convinti che l’opinione pubblica non sia d’accordo con una regolamentazione del settore ma la verità è che purtroppo non ci sono sondaggi in tal senso: sarebbe davvero utile e maturo testare cosa pensa davvero la gente, vedere cosa ne esce ed agire di conseguenza”. 

Parlare di legalizzazione non è soltanto una questione economica però…

“Certo, abbiamo accennato della lotta al narcotraffico ma pensiamo alla giustizia. La cannabis è la sostanza più perseguita anche se la meno pericolosa. Non sono io a dirlo ma la Direzione nazionale Antimafia. Un terzo di tutti i detenuti si trova dentro per violazione del Testo Unico sulle droghe, e non sono grandi trafficanti ma piccoli spacciatori. Noi abbiamo mandato i cani nelle scuole, abbiamo chiuso i negozi di cannabis light e inviato segnalazione ai prefetti per consumatori di cannabis: abbiamo fatto guerra ad una sostanza per pura propaganda. Perché? Perché è la più facile da perseguire visto che si stima che ci siano 6 milioni di consumatori in Italia. Soltanto lo scorso anno il 96% dei sequestri fatti hanno riguardato la cannabis per un totale di 130 mila chili di erba. I chili sequestrati di droghe sintetiche, molto più pericolose, sono soltanto 80. Questi numeri ci indicano che la guerra si sta scegliendo di farla solo su un fronte, quello sbagliato”. 

Ma voi di Meglio Legale cosa volete davvero? 

“Noi non vogliamo incentivare l’uso di cannabis. Noi vogliamo solo regolamentare un fenomeno che c’è, è presente nella nostra società da sempre ed ignorarlo non aiuterà né lo farà scomparire. E’ davvero utopico pensare di eliminare il consumo di sostanze stupefacenti nel nostro Paese al pari di eliminare il sesso dalla vita delle persone. Vogliamo regolamentarlo o vogliamo lasciarlo nelle mani degli spacciatori?”.

Per regolamentarlo ci vuole una nuova legge, come si stanno comportando i nostri politici davanti a questa iniziativa?

“Noi stiamo facendo un lavoro persona per persona, affiancando l’Intergruppo parlamentare per cercare di convincere ed informare. Abbiamo raccolto l’adesione di 15 parlamentari che si sono autodenunciati nella campagna ‘Io coltivo’ per incentivare l’autocoltivazione. Abbiamo raccolto le firma di 100 parlamentari che hanno chiesto al Presidente Conte di parlare di cannabis nei progetti di rilancio del Paese. Sono piccoli passi ma molto significativi. Deve esserci una classe politica che possa affrontare realmente il problema della cannabis ricreativa e medica e che sappia regolamentare il settore della cannabis light che soltanto l’anno scorso ha trainato il settore dell’agroalimentare portando innovazione e sviluppo senza precedenti”.

A proposito di cannabis light, durante il lockdown c’è stato un boom di delivery, un assaggio delle potenzialità della legalizzazione? 

“Assolutamente sì. Quello che è successo è un indicatore importante che si lega anche ad un altro fenomeno che esiste nel nostro Paese: l’autocoltivazione. In Italia sono circa 100mila persone che coltivano in casa cannabis. Hanno un profilo assolutamente normale: sono persone adulte, comuni e perbene, spesso le più istruite, insomma quelle più inserite nel tessuto sociale. Anche a loro dobbiamo dare risposte concrete perché, come per i consumatori di cannabis light, sono persone che non vogliono far arricchire il mercato nero della droga”. 

Come si vince questa battaglia? 

“Questa battaglia si vince se è trasversale e se coinvolge tutti. Per questo noi chiediamo a tutti i partiti di partecipare: esisterà anche a destra qualche liberale? E poi chiediamo di esserci e quando è il momento di scendere in piazza di venire in tanti, anche con le bandiere di partito. Fateci vedere chi siete e cosa volete. Siamo già tanti ed eterogenei ma questa battaglia si vince se parliamo con un’unica voce, diversamente da come è stato nel passato. Non dimentichiamoci che il fronte del proibizionismo è molto compatto, cerchiamo di esserlo anche noi antiproibizionisti”.  

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