Cannabis contaminata e sintetica: i frutti amari del proibizionismo

Lacca, lana di vetro, piombo, alluminio, ferro, cromo, cobalto ed altri metalli pesanti altamente nocivi. Ma anche foglie di piante in polvere, erbe, grassi, sabbia, cera, zucchero, spray per capelli, Brix, pesticidi e fertilizzanti, vetro e persino bevande a base di cola. Sono queste ‘le schifezze’ che sono state trovate al microscopio in aggiunta alla cannabis venduta nel mercato nero. Sostanze pericolose e che di naturale non hanno proprio niente. E allora perché vengono aggiunte? Per far aumentare il peso del prodotto oppure per colorare e rendere più ‘appetibile’ la sostanza agli occhi dei consumatori o soltanto, come nella pubblicità, per renderla più lucida e brillante. A risentirne, ovviamente, è la qualità della nostra amata pianta. E così una sostanza completamente naturale diventa tossica, con tutti gli effetti collaterali che ne conseguono. A soffrirne sono soprattutto il sistema respiratorio, nervoso ed immunitario. Una contaminazione che dovrebbe preoccupare il consumatore che, a meno di avere in casa un laboratorio analisi, non può accorgersi ad occhio nudo della purezza del prodotto che sta consumando.

Ma in Italia si continua a fare orecchie da mercante e studi sistematici sulla qualità delle sostanze confiscate che girano nel nostro Paese non ci sono. Ma altrove, in Europa, sì. E i risultati non pensiamo siano molto dissimili nel nostro Paese – anche perché le sostanze confiscate spesso provengono proprio dalle ‘nostre’ produzioni illegali-.

Qualche anno fa l’Università di Berna, ha analizzato 191 campioni di cannabis sequestrati sul territorio svizzero e i risultati parlavano di un 91% di cannabis contaminata. Un’enormità. Ora sono passati alcuni anni ma niente sembra essere cambiato nel concreto. Perché esiste solo un modo per mettere fine alla contaminazione: legalizzare la cannabis. Se il consumo di cannabis fosse regolarizzato, infatti, i prodotti consumati dovrebbero sottostare a controlli di qualità rigidi. Questo comporterebbe una maggiore tutela per i consumatori che, in questo modo, saprebbero cosa stanno inalando.

Insomma, possiamo dire con certezza che, se la cannabis contaminata esiste, è per colpa del proibizionismo. Così come è complice anche della diffusione di cannabis sintetiche, un altro prodotto presente nel mercato nero che fa paura. 

Un mix di foglie e fiori prodotte in laboratorio e lasciate assorbire che possono avere effetti psicoattivi anche molto severi. A differenza della cannabis naturale, con cui ha in comune solo l’aspetto, i cannabinoidi sintetici hanno effetti imprevedibili e non controllabili. Alcuni mantengono la struttura molecolare del THC prima della trasformazione in laboratorio, altri no. Rispetto alla marijuana naturale, inoltre, nelle droghe create in laboratorio manca il cannabidiolo, un altro costituente dell’erba che stempera gli effetti psicoattivi del THC, bloccando il rilascio di dopamina: una sorta di freno, assente in queste miscele ‘innaturali’. 

Oltre a tutto questo non è trascurabile il rischio concreto di contaminazione con altre sostanze tossiche, come il veleno per topi o sostanze oppioidi. Gli effetti collaterali riscontrati sono davvero tanti: ansia, psicosi, paranoia, tachicardia, ictus, conati di vomito (un paradosso se consideriamo che la cannabis terapeutica previene gli attacchi di nausea). I casi più gravi contemplano, poi, assenza e fissità dello sguardo, movimenti ripetuti e meccanici, danni a muscoli e reni e gravi problemi respiratori.

La relazione annuale 2020 della Direzione centrale per i servizi antidroga (Dcsa) ha già allertato sull’aumento della diffusione di nuove molecole droganti sintetiche: 15 molecole di nuova composizione non “tabellate” (principalmente cannabinoidi, catinoni e oppioidi), già presenti in prodotti psicoattivi destinati al consumo. “Benché tali sostanze non siano oggi ancora particolarmente diffuse nel nostro Paese – si legge nel documento – è necessario tenere alto il livello di attenzione per evitare di essere colti di sorpresa da nuovi fenomeni di consumo che per alcuni Stati oltreoceano rappresentano ormai una vera e propria emergenza per la salute pubblica”.

Per una volta sarebbe davvero utile prevenire invece che curare. Noi siamo pronti.