“Il 2021 sarà l’anno della canapa. Ci metto la mano sul fuoco”. Parla Lorenza Romanese

Rappresentano il mondo della canapa in Europa. Sono loro che portano nei palazzi del potere le istanze degli agricoltori, dei trasformatori e i traders. Ed è anche grazie a loro, che forse per la prima volta, stanno cominciando ad arrivare a casa i frutti del duro lavoro di lobbing. Molti a questa parola ancora storcono il naso ma non è affatto un cosa negativa: è giusto che la canapa si prenda il posto che merita, anche in Europa. Stiamo parlando dell’EIHA, l’associazione europea della canapa industriale. Abbiamo fatto una chiacchierata con Lorenza Romanese, managing director dell’Associazione, che ci ha spiegato come funziona davvero a Bruxelles: “Quando ho cominciato a lavorare per il mondo della canapa mi sono accorta da subito che c’erano davvero tanti pregiudizi in questo campo: ricordo dirigenti che non volevano vedermi, ricordo proprietari di immobili che non volevano affittarmi nemmeno un ufficio. Ma oggi le cose per fortuna sono cambiate, e sono cambiate in meglio. Oggi siamo seduti al tavolo degli interlocutori di varie direzioni nazionali o di ministeri internazionali. Ci abbiamo messo 30 anni per farci accettare ma ora ci ascoltano, finalmente”.

Che cosa ha fatto la differenza?

“Ci è voluta tanta costanza e soprattutto ci è voluta tanta informazione basata su dati scientifici per accreditare le nostre tesi. Abbiamo visto l’inferno, soprattutto in questo 2020, ma oggi più di ieri, possiamo dire aver invertito il trend”.

Oltre ai pregiudizi c’è stato qualcos’altro che ha condizionato l’espandersi del settore?

“Il settore è molto poco professionalizzato. Io vengo da settori in cui tutto è molto più organizzato, come quello del vino o dell’energia. Qui invece coesistono vecchi businessman molto tradizionali e tanti nuovi attori con poca esperienza e per questo c’è ancora tanta confusione. Una cosa però è certa: questo settore non è un Eldorado ma è sicuramente un luogo dove si può lavorare bene. E se ci sono poche e nuove regole si lavora anche meglio e con più serenità, sempre che queste non continuino a cambiare”.

Quello che si nota è che mancano delle regole europee condivise e che ogni Stato si muove in autonomia, seguendo i propri pregiudizi o rincorrendo i consensi elettorali…

“Il problema principale è l’interpretazione giuridica del prodotto. Se la pianta viene considerata come un narcotico, allora è normale che a prendere le decisioni siano i singoli stati membri. Se invece viene trattata come un prodotto agricolo, allora le cose cambiano perché se ne può discutere a livello comunitario in Commissione agricoltura. Una commissione molto importante, che può prendere decisioni forti ed è dotata di un budget consistente. Ovviamente noi siamo per un approccio europeo perché questo ci permette di avere una circolazione del prodotto più armonioso. Noi per primi, ad esempio, abbiamo organizzato dei working group fra paesi membri che si riuniscono periodicamente per rendere più omogenee possibili le norme del settore e non creare discrepanze. Non vogliamo contribuire a creare ancora più incertezza”.

Eppure l’incertezza c’è ancora…

“Perché i produttori di vino sono presenti a Bruxelles da 58 anni e quelli della canapa no? Perché ci abbiamo creduto troppo poco e, me lo lasci dire, anche grazie al lavoro dell’EIHA, finalmente qualcosa sta cambiando. Ci siamo e siamo presenti su tutti gli argomenti che concernono la canapa”.

In effetti il 2020 ci ha regalato qualche bella novità e speranza per il futuro

“Le ultime buone notizie sono legate fra loro e aprono grandi scenari. La prima cosa da fare è metterci a lavorare: cominciamo con gli studi tossicologici per cui l’EIHA ha raccolto tre milioni e mezzo di euro. Sono studi che dureranno due anni e che analizzeranno le molecole del Cdb e Thc; ci serviranno a capire, non se sono pericolosi, perché sappiamo già con certezza che non lo sono, ma a quale livello provocano degli effetti. Abbiamo già un limite fissato dal farmaco immesso sul mercato europeo che è l’Epidiolex, che ha un livello di Cbd al 10%. Ma tutto quello che è sotto questa soglia può essere commercializzato rientrando in categorie di complementi alimentari o addirittura cibo tradizionale. E’ un procedimento semplice che possiamo applicare a qualsiasi pianta: anche la camomilla ha un effetto calmante ma assunta in dosi maggiori può diventare più simile ad un medicinale che ad un prodotto alimentare”.

Allargando il nostro orizzonte oltreoceano, guardare agli Stati Uniti o il Canada è più una frustrazione o un modello a cui aspirare?

“Sono una persona positiva ma dobbiamo essere anche realisti: ormai possiamo aspirare al terzo posto. Il Canada e gli Stati Uniti sono realtà irraggiungibili per organizzazione e infrastrutture. Ma c’è un grande interesse per l’Europa; gli investitori guardano con interesse al nostro mercato ma hanno bisogno di un quadro legislativo stabile. Ora che le leggi sono più chiare e definitive sta al settore, tutto, rimboccarsi le maniche e dimostrare che sappiamo lavorare bene e con serietà. Il 2121 è l’anno della canapa, io ci metto la mano sul fuoco”.