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Costruire con la canapa si può? Si deve!

L'uso della canapa miscelata con calce era già conosciuto in Francia circa 1500 anni fa, dove gli archeologi hanno ritrovato un ponte costruito con...
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Costruire con la canapa si può? Si deve!

L’uso della canapa miscelata con calce era già conosciuto in Francia circa 1500 anni fa, dove gli archeologi hanno ritrovato un ponte costruito con conglomerato di calce e canapa databile tra il 500 ed il 751 d.C. (periodo Merovingio).

Oggi si può senz’altro affermare che il biocomposto di canapa e calce è tra le diverse tecniche ecocompatibili più importanti e promettenti nel panorama attuale del recupero edilizio e non solo, ed è decisamente in linea con i tre pilastri dello sviluppo sostenibile: quello ambientale, quello sociale e quello economico.

Questa tecnica antichissima è stata tradotta in risultati moderni come il riuso e la trasformazione dei sottoprodotti della lavorazione della canapa (canapulo e fibre), in prodotti pronti all’uso e di facile messa in opera, come i mattoni ed i pannelli, eccellenti nell’isolamento termico e acustico, o prodotti quali intonaci, intonachini e finiture varie. Prodotti che uniscono senz’altro l’eccellenza della calce alla naturalezza della canapa, ma ancora destinati ad un mercato ‘di nicchia’, sia per quanto riguarda la disponibilità e la reperibilità sul mercato, sia per i costi.

Costruire con la canapa oggi, quindi, si può? Si ‘potrebbe’. In Italia, a cospetto di altre realtà europee (Francia in primis), c’è una lacuna legislativa notevole, frutto di anni di indifferenza e di stenti politici ed istituzionali nei confronti della canapa, del suo settore agricolo e, non per ultimo, della bioedilizia stessa. Questo gap normativo europeo si riflette anche in enormi differenze tra regolamenti e normative nazionali e regionali.

Ad oggi tutto è regolamentato dalle Norme Tecniche per le costruzioni del 2008, norme indiscutibili ma che poca libertà di spazio lasciano alla gestione di innovazioni ed innovamenti quali potrebbero essere per esempio, proprio quelli apportati dall’uso della canapa nell’edilizia. Basta pensare che il termine ‘bioedilizia’ non è proprio contemplato nei testi di legge attuali, e che i moderni criteri di ‘edilizia sostenibile’ in generale, sono regolamentati dalla legge n.10 del 1991 – Norme di attuazione del piano energetico nazionale – e dal DPR n.412 del 1993 – Regolamento applicativo per il contenimento dei consumi di energia, solo per citare le più importanti in materia. Due riferimenti legislativi risalenti ad oltre venti anni fa.

Questo zoom legislativo dalla grande alla piccola scala, non esclude il livello comunale, dove si è in balia di uffici tecnici con procedure, piani attuativi, soprintendenze territoriali di competenza, sensibilità e conoscenze del tutto differenti. Non dimentichiamo, infine, che c’è ancora molta confusione nel riconoscere le giuste differenze tra “canapa sativa” (legalmente coltivabile) e quella “indica”, non solo concettuale ma soprattutto ostativa per lo sviluppo di processi decisionali e traiettorie differenti di utilizzo. Un ipotetico utente finale, pubblico o privato che sia, con mentalità imprenditoriale o solo con una semplice passione per la buona edilizia, ad oggi si trova spaesato al solo pensiero di come poter utilizzare la canapa in un settore così ampio e che gli spetterebbe di diritto per le immense qualità tecniche, intrinseche e non. La panoramica non vuole essere pessimistica, ma per costruire con la canapa c’è bisogno di solide fondazioni normative. La bellezza dei castelli di carte mal si sposa con chi quotidianamente si scontra con lungaggini burocratiche e falle normative con conseguente dispendio di risorse e tempo che scoraggiano la progettualità. La soluzione va immaginata con un raggio d’azione a medio-lungo termine. Bisognerebbe, e con molte difficoltà di vario tipo si sta cercando di farlo, prima di tutto recuperare una sensibilità nei confronti dei coltivatori di canapa. Senza un’azione che parta a monte, dalla produzione della canapa (coltivazione, raccolta e trasformazione), si esclude a priori ogni bel discorso in merito. Fino a che saremo costretti ad importare seme estero per poter coltivare canapa, risulta difficile pensare di poter creare e puntare su ‘eccellenze italiane’.

C’è bisogno di una filiera a ‘km zero’ che possa innescare una reciprocità di intenti e di azioni a livello territoriale. Un programma di azioni (politiche, tecniche e sociali), che possano in qualche modo, far procedere di pari passo la ripresa e lo sviluppo del mondo agricolo della canapa con quello dell’edilizia, settore che stagna in una crisi ormai cronica. Una filiera che abbia come attori principali tutti gli ‘addetti ai lavori’, supportandoli concretamente e non lasciandoli in balia di sperimentazioni e disponibilità soggettive. E allora, costruire con la canapa si può? Si deve!

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