La botta è stata tremenda. Leggere sui siti di informazione e sulle agenzie di stampa che la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione considera reato la commercializzazione di prodotti derivati della cannabis light era esattamente quello che i protagonisti di questo settore non si sarebbero mai aspettati e che non avrebbero mai voluto leggere.
Col passare delle ore e dopo un attenta rilettura di quanto emerso dalla Cassazione, si evince come sia ancora troppo presto per trarre delle conclusioni affrettate. Intanto, come per ogni sentenza, occorre aspettare di leggere attentamente le motivazioni.
Nel frattempo si può già notare un passaggio chiave nel testo diffuso oggi, che si presta a differenti interpretazioni. E’ il passaggio finale in cui si fa espressamente cenno al “divieto di vendita e in genere di commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa, salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante”.
Quel “salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante” lascia aperto uno spiraglio di luce. Scrive l’avvocato Carlo Alberto Zaina, che ha seguito la questione in prima persona: “La sentenza della Corte di Cassazione lascia in realtà irrisolta la questione globale concernente quale sia la effettiva soglia drogante al di là della quale si commetta il reato. Ci si deve porre il problema se l’effetto drogante si computi in termini percentuali o in termini di peso assoluto. Temo che le SSUU abbiano aumentato l’incertezza. Non bisogna perciò abbattersi e farsi prendere da reazioni inconsulte”.
Gli fa eco l’avvocato Lorenzo Simonetti, di Tutela Legale Stupefacenti: “In attesa delle motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite, vogliamo tranquillizzare tutti coloro che sono direttamente interessati al tema della commercializzazione dei prodotti derivati della Cannabis Sativa L. (c.d. light). La massima provvisoria della Suprema Corte, infatti, non esclude a priori il commercio finora sviluppatosi in quanto i Giudici sembrano punire soltanto quelle condotte che riguardano prodotti “in concreto” aventi efficacia drogante. Ebbene, tale massima, alla luce del consolidato diritto vivente, dovrebbe far salvi tutti quei derivati della Cannabis Sativa c.d. light con principio attivo (THC) fino allo 0,5%. Suggeriamo, quindi, agli organi di stampa di non propalare falsi allarmi”.
Stessa interpretazione diffusa da Giovanni Rossi, di Legal Weed, una delle più importanti realtà del settore: “La sentenza ribadisce e sottolinea che se la sostanza non è drogante (la soglia massima è 0,5 di Thc) è perfettamente vendibile. La stessa sentenza dice che il commercio non è legittimo a meno che non si operi nei dettagli della legge 242 del 2 Dicembre 2016 sulla Canapa. Alla luce delle considerazioni, credo che l’attività svolta da noi operatori di settore è perfettamente legale e supportata dalla legge”.
Intanto le reazioni della politica sono come sempre schizofreniche. Da una parte c’è l’esultanza della destra, che da sempre sta portando avanti un’assurda guerra tutta ideologica alla cannabis light. Da Salvini a Fontana, dalla Meloni e quel che resta di Forza Italia, è tutto un esultare per la sentenza che, nella loro testa, dovrebbe portare all’immediata chiusura dei negozi.
Dall’altra parte, i Radicali, +Europa e diversi esponenti del Partito Democratico chiedono di “tutelare gli investimenti che centinaia di imprenditori hanno fatto nel settore e le migliaia di posti di lavoro creati”. Silenzio, per ora, dal Movimento 5 Stelle.