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HomeCannabisCannabis Light, ecco come stanno le cose. Il punto dell'esperto

Cannabis Light, ecco come stanno le cose. Il punto dell’esperto

Dopo la pronuncia di ieri della Cassazione, per capire quale sarร  il futuro di un intero settore saranno decisive le motivazioni (che verranno rese note nelle prossime settimane). Ma cosa accadrร  nel frattempo?
Pubblichiamo alcune riflessioni dellโ€™avvocato Giacomo Bulleri, uno tra i massimi esperti del settore, che fa il punto sulla situazione.

Dopo lunghi mesi di attesa, contornati da una notevole attenzione e pressione politica e mediatica, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione penale si sono pronunciate nel pomeriggio di ieri per rispondere al quesito se condotte diverse dalla coltivazione di varietร  certificate di cannabis sativa L. ed, in particolare la commercializzazione delle infiorescenze, rientrassero nellโ€™ambito di applicazione della L. n. 242/2016 e, pertanto, se penalmente irrilevanti.

Ebbene, dallโ€™informativa provvisoria n. 15 diffusa dalle Sezioni Unite, emerge un quadro che necessita di essere valutato con la massima attenzione e cognizione di causa.

Lโ€™informativa si compone di due periodi:

Nel primo, la Corte afferma che โ€œla commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, fiori, olio, resina derivati dalla coltivazione della predetta varietร  di canapa, non rientra nellโ€™ambito di applicazione della Legge n. 242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente lโ€™attivitร  di coltivazione di canapa delle varietร  iscritte (โ€ฆ) e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzatiโ€.

In questo senso la Corte si รจ chiaramente pronunciata per una interpretazione in senso tassativo-restrittivo dellโ€™ambito di applicazione della L. n. 242/2016 fermandosi al mero dato letterale. Ossia la legge promuove e sostiene (e quindi rende lecita) la sola coltivazione di canapa proveniente da varietร  certificate per ottenere solo e soltanto i prodotti elencati dallโ€™art. 2 della medesima legge.

Questo assunto appare abbastanza chiaro se non fosse per il riferimento alle foglie ed agli olii (senza chiarire quali) che, come noto, possono invece trovare destinazioni di utilizzo allโ€™interno delle categorie espressamente previste dallโ€™art. 2 della medesima legge.

In senso piรน ampio e forse piรน attinente alla prassi applicativa, tale indicazione potrebbe essere intesa come volta a  sancire un divieto di commercializzazione di tali prodotti al di fuori delle categorie tassativamente elencate nellโ€™art. 2 e, pertanto, andare a rendere fuorilegge le destinazioni โ€œad uso tecnicoโ€ o โ€œda collezionismoโ€ di tali prodotti.

Nel secondo periodo, perรฒ, la Corte di Cassazione si pronuncia sul quesito di diritto che le era stato posto affermando che โ€œintegrano il reato di cui allโ€™art. 73, commi 1 e 4 DPR 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione AL PUBBLICO, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L. , salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia droganteโ€

Ne consegue che la Suprema Corte ha ritenuto che condotte di cessione di derivati di canapa industriale privi di efficacia drogante NON integri il reato di cui allโ€™art. 73 del T.U. Stupefacenti.

A questo punto resta da capire come si determini lโ€™efficacia drogante.

Sino ad ora, per consolidata tossicologia forense e letteratura scientifica, recepita da tempo dalla stessa Corte di Cassazione, la soglia drogante รจ stata fissata nello 0,5%.

Per cui la sentenza delle Sezioni Unite che prima affermava il divieto di commercializzazione di prodotti fuori dalle ipotesi di cui alla L. n. 242/2016 ha invece poi affermato che condotte di cessione di derivati privi di efficacia drogante non costituiscono reato penale.

Ciรฒ determina una apparente contraddizione che potrร  forse essere chiarita a seguito del deposito delle motivazioni da cui si potrร  desumere lโ€™impianto logico-giuridico seguito delle Sezioni Unite.

Resta il fatto che se lโ€™impostazione รจ quella dellโ€™informativa, in realtร  le Sezioni Unite non hanno chiarito alcunchรจ limitandosi, da un lato, ad una ennesima riproposizione letterale della L. n. 242/2016 e, dallโ€™altro, ad affermare lโ€™ovvio ossia che non รจ reato cedere una sostanza non drogante.

Pertanto, a parere dello scrivente, questa sentenza tanto attesa non ha fornito alcun chiarimento, ma anzi probabilmente ha contribuito ad ulteriore e non necessaria incertezza e confusione.

Alcune riflessioni al confronto con la prassi sorgono pertanto spontanee:

Se cedere derivati di canapa privi di efficacia drogante non รจ reato (e questo รจ chiaro) quali sono le conseguenze per chi vende tali prodotti (seppure non rientranti nella L. n. 242/2016)? Si potrebbero ipotizzare sanzioni di tipo civilistico-amministrativo in base alle norme di settore ma solo qualora fossero violate. Ma sul punto le Autoritร  competenti (CCIAA, Autoritร  garante per la concorrenza ed il mercato) si erano giร  espresse in senso favorevole.

Paradossalmente lโ€™indicazione della Corte, se seguita alla lettera, rischierebbe di favorire tutto il mercato borderline delle infiorescenze di importazione di dubbia provenienza da varietร  certificate piuttosto che tutelare la filiera italiana, che rappresenta la vera ratio (non colta) della L. n. 242/2016.

Sotto la soglia che attribuisce potere drogante (sinora lo 0,5%) allora si puรฒ vendere qualunque derivato anche se non proveniente da varietร  certificate, visto che tale attivitร  non rientra nellโ€™ambito della L. n. 242/2016 che riguarda la sola canapa proveniente da varietร  certificate?

E come si determina in concreto lโ€™efficacia drogante? In termini percentuali come sinora affermato oppure in termini di peso/quantitร  del prodotto?

Insomma, una pronuncia assai deludente che rischia di generare ancora piรน equivoci e che potrebbe far rientrare dalla finestra ciรฒ che รจ uscito dalla porta, una pronuncia che non chiarisce alcunchรจ se non sancire lโ€™ovvietร , ma che, purtroppo, viene e verrร  utilizzata strumentalmente da coloro che da sempre vogliono limitare questo settore per giustificare ulteriori interventi repressivi chiaramente volti alla limitazione della libertร  di iniziativa economica privata.

Non vi รจ dubbio che tale pronuncia finirร  per legittimare sia chi intenderร  persistere sulla strada repressiva dei sequestri sia coloro che invece riterranno di non commettere alcun reato persistendo nella vendita.

Con lโ€™unica conseguenza di assistere ad una ulteriore (e non necessaria) moltiplicazione di sequestri, ricorsi e sentenze, lโ€™una diversa dallโ€™altra, da caso a caso, da zona a zona.

A questo punto due sono le considerazioni conclusive:

1) In ogni caso ogni possibile limitazione riguarderร  la vendita di cannabis sativa L. al dettaglio e non i passaggi commerciali B2B tra aziende agricole e industrie che trasformano la canapa per ottenere i prodotti elencati dalla legge (alimenti, cosmetici, bioplastiche, bioedilizia ecc.); i prodotti derivati dalla canapa elencati nella legge non potranno subire alcuna limitazione per effetto della sentenza.

2) Onde evitare di frenare โ€“ ed in molti casi chiudere โ€“ moltissime aziende che hanno investito (e pagato le imposte dovute allo Stato) diventa ancora piรน imprescindibile un intervento chiarificatore del legislatore che superi e risolva quel vulnus normativo che neppure le Sezioni Unite hanno voluto colmare. Ci auguriamo che le Istituzioni vogliano rispondere alle istanze volte alla regolamentazione del mercato che da oltre un anno vengono avanzate dagli operatori di settore e dalle associazioni di categoria.

In mancanza si profila uno scenario estremamente confuso che finisce con il pregiudicare le aziende ed i lavoratori e lโ€™indotto economico.

La questione, infatti, non puรฒ essere trattata con eccessiva leggerezza e semplicitร  in considerazione del notevole impatto socio-economico.

Sul punto basti pensare che lo stesso Procuratore Generale, che rappresenta lo Stato Italiano, aveva chiesto in via preliminare alle Sezioni Unite di rimettere la questione alla Corte Costituzionale in considerazione dei valori in gioco, sicuramente di rilevanza costituzionale.

Probabilmente, con il senno di poi, sarebbe stato piรน saggio usare maggiore tatto e rimettere la questione alla Consulta affinchรจ valutasse la questione sotto il profilo della costituzionalitร , proprio in considerazione dello scenario che si รจ creato che tocca da vicino investimenti economici giร  in essere e circa 10000 posti di lavoro.

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