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HomeAmbiente‘Green is the new pink’: come le donne salveranno l’ambiente

‘Green is the new pink’: come le donne salveranno l’ambiente

Ambiente, cambiamento climatico, economia circolare: sono temi oggi sulla bocca di tutti, anche, e forse soprattutto, grazie al movimentismo dei ragazzi di ‘Fridays for Future’. Di certo, però, non sono temi nuovi. Sono anni che gli scienziati ci avvisano dei danni irreparabili che stiamo provocando con i nostri spregiudicati comportamenti. Forse è arrivato il momento di guardare con occhi nuovi e con maggiore consapevolezza ciò che serve davvero al nostro pianeta. Proprio su questi temi, abbiamo fatto una chiacchierata con Annalisa Corrado, ingegnera meccanica, esperta di ambiente ed energie rinnovabili e portavoce di Green Italia, che è sicura: “Il momento di mettere in atto gesti rivoluzionari è ora, ma serve un’offerta politica credibile e un nuovo linguaggio per farsi comprendere da tutti”.

E’ il momento della rottamazione anche fra gli ambientalisti? O di un altro partito?

Non è una questione di età, ci sono molti giovani che sono anche peggio dei vecchi. E’ una questione di autorevolezza e competenza. Esperienze recenti ci hanno mostrato che cambiano i nomi dei partiti ma le persone, gli interessi e gli errori sono sempre gli stessi. E’ il momento di organizzarsi per contrastare chi negli anni, a destra, come a sinistra, ha parlato e promesso ma non ha fatto concretamente nulla. E poi, me lo lasci dire, si sente anche una forte mancanza di rappresentanza femminile. Non perché manchino donne competenti ma perché le donne brave vengono triturate da un sistema dominato dagli uomini.

Non dappertutto. Nell’America di Trump c’è anche il New green Deal di Alexandria Ocasio Cortez…

Queste sono le grandi e belle contraddizioni americane. Non c’è solo Cortez ma tutta una nuova generazione di donne, e non è un caso che siano donne, che hanno capito che proseguire in scelte politiche ed economiche slegate dalle questioni ambientali, non solo è sbagliato ma è anche inefficace e porta ad enormi ingiustizie sociali. 

Perché all’estero, pensiamo alla Germania, i partiti ecologisti riescono ad imporsi, mentre in Italia, anche se cresce la consapevolezza nell’opinione pubblica, sono relegati a posizioni di pura rappresentanza? E’ colpa di un certo ambientalismo che preferisce impedire tutto piuttosto che proporre?

Esiste anche quel mondo che è sempre contro e che qualcuno, simpaticamente, ha ribattezzato “l’annientalismo del No”. In parte questo mondo è stato rappresentato dal Movimento 5 Stelle (che, in molti settori, è stato complice e promotore del dilagare di un sentimento acritico di NIMBY “Not In My BackYard”) ma si è visto che è inefficace e anzi controproducente, perché spalanca le porte a chi non vuole cambiare le cose o peggio a chi lucra sui metodi fossili e fallimentari. Un esempio? Per una virtuosa e corretta gestione dei rifiuti, è urgente e necessario costruire impianti di recupero e trasformazione delle materie ricicliabili e di trattamento della frazione organica dei rifiuti (come i bio-digestori, in grado di produrre bio-metano che sostituisce il metano fossile). Costruire gli impianti, moderni, virtuosi e sostenibili, è l’unica strada reale per bloccare chi vuole costruire nuovi inceneritori (quelli si, da avversare totalmente) o aprire nuove discariche.  

Annalisa Corrado, presidente di Green Italia

Ma poi c’è anche una questione culturale che non può essere sottovalutata. In Italia abbiamo assistito ad un progressivo impoverimento del dibattito politico, per cui si cercano risposte facili ed immediate a problemi complessi. Di certo l’ambientalismo è un problema molto complesso, non è un fenomeno facile da comprendere né immediato da risolvere e così l’analfabetismo funzionale di cui siamo affetti ci ha portato nel tempo a semplificare. Mettiamoci poi una classe politica inadeguata che non si mette in discussione e che fa principalmente propaganda a suon di tweet, alla ricerca di un consenso a cortissimo respiro, e il disastro è servito.

E il ruolo dei media in questo dibattito?

Non positivo. Purtroppo abbiamo assistito e assistiamo a bufale climatiche davvero gravissime che non hanno fatto altro che aumentare la disinformazione e hanno contribuito a mettere le persone nella condizione di non capire cosa sta succedendo veramente al nostro Pianeta. Per questo, con altri colleghi, mi sono fatta promotrice dell’appello ‘Stop climate fake’. In televisione e sui giornali abbiamo dovuto veder concesso spazio a persone che si spacciano per esperti senza avere le competenze scientifiche per farlo, in nome di una par condicio che non ha davvero motivo di esistere. E’ come se una volta ascoltato l’astronauta Luca Parmitano parlare di spazio e missioni spaziali fossimo poi costretti ad ascoltare anche un terrapiattista per controbilanciare. Oppure se volessimo sapere di più sulle malattie polmonari e dovessimo dar voce anche a produttori di tabacco o di automobili diesel. E’ un’assurdità pericolosa che va combattuta. Gli scienziati sono unanimi: i cambiamenti climatici sono in atto, dipendono dalle attività degli esseri umani, le condizioni che hanno consentito il proliferare del genere umano saranno messe presto in crisi profondissima, se non agiamo subito.

E che cosa si può fare per risolvere il problema?

Il primo e più importante passo è costruire una strategia seria e radicale per decarbonizzare economia e società, l’accordo tra Stati prevede che si faccia entro il 2050. Ma la realtà è che l’utilizzo dei combustibili fossili aumenta. Anche in Italia, Paese in cui persiste la narrazione per cui non ci si possa permettere di dare altri incentivi per favorire le energie rinnovabili, si stanziano 19 miliardi di €/anno per favorire “attività dannose per l’ambiente”, legate a doppia mandata al mondo delle energie fossili. Con il risultato di avere rinnovabili ferme al palo da anni. Non si può parlare quindi di mancanza di risorse, ma di mancanza di volontà politica. Bisogna agire in maniera rapida e decisa, con coraggio, accelerando tutti i cambi regolatori e normativi che servono per aprire alla generazione pulita e distribuita o alla nuova mobilità. Questo vuol dire anche fare scelte economiche completamente diverse dal passato.

Il capitalismo green non funziona?

Assolutamente no, è sotto gli occhi di tutti. La transizione dovrà essere giusta e porre attenzione alle classi già più svantaggiate e a rischio, per invertire la deriva delle diseguaglianze. Una nuova fiscalità ambientale è necessaria più che mai e va gestita a livello internazionale, deve condizionare anche i trattati e i rapporti commerciali tra Paesi. Inserire, come ha fatto il governo italiano, la plastic tax o la sugar tax, è un primissimo passo (che poteva senza dubbio essere fatto meglio) sulla strada di provvedimenti sacrosanti che puniscono chi inquina e chi avvelena la salute.

Da cosa ripartiamo in Italia?

Sicuramente dalle energie rinnovabili. Fra l’altro ci sono provvedimenti praticamente a costo zero, perché si tratta di fare delle modifiche a norme già presenti. E poi dall’economia circolare, campo su cui abbiamo eccellenze a livello internazionale che non aspettano altro che una normativa favorevole; settore che va a braccetto con una agricoltura sostenibile ed innovativa ad un tempo, che possa riportare sul nostro suolo tradizioni e conoscenze che fanno parte della nostra cultura agricola, potenziate dalle più recenti soluzioni perché il suolo possa essere rigenerato invece che aggredito, e perché si diffonda la gestione virtuosa degli scarti.

Fra queste anche l’uso della canapa?

Assolutamente sì. Mettere un freno a questo settore vuol dire mettere un freno al nostro sviluppo economico. Un conto è discutere di legalizzazione di cannabis (che mi vede d’accordo per limitare il mercato della criminalità organizzata e non solo), ma penalizzare la coltivazione di canapa tout court è assurdo. Come molti sanno la canapa è chiamata il maiale dell’agricoltura: una pianta di cui non si butta nulla! Ha proprietà importantissime in vari ambiti, può essere usata per bonificare terreni dall’inquinamento e da sempre è stata utilizzata nel nostro Paese.

E allora perché è ancora vittima di pregiudizi?

I pregiudizi sono solo strumentali, vietare la canapa è solo un diversivo per portare avanti interessi sbagliati. Semplicemente si sceglie di non far andare avanti il nuovo che avanza. E questo è possibile solo perché chi muove grandi interessi si nutre di ignoranza. Ed è anche contro questo che bisogna lottare.

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