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I volti della canapa: le storie di Michele e Maria Chiara

Prosegue il mio racconto legato alle difficoltà, al dolore e alle speranze di persone che hanno deciso di inserire la cannabis nel loro piano terapeutico, nonostante gli ostacoli nell’utilizzarla “legalmente” in Italia. La speranza è che testimonianze così dirette possano aiutare a fare chiarezza su una materia ancora controversa. In questa nuova puntata dei “I volti della canapa” ho scelto di dare voce alle storie di Michele e….

MICHELE RUSSOTTO

29 ANNI – ROMA

DEPRESSIONE E BIPOLARISMO

Per incontrare Michele, a differenza di molte altre volte, non faccio tanti chilometri perché lo incontro a Roma, la sua città di nascita e la mia di adozione. Lo incontro in un luogo molto interessante, soprattutto per il fatto che da un po’ di tempo quel luogo è anche la sua dimora, il suo giaciglio per la notte e per il giorno.

Rimasto senza casa, infatti, Michele ha trovato ospitalità nell’ex cinema Preneste, il cosiddetto Preneste Occupato, in una traversa della Prenestina. Ci incontriamo proprio lì e ne approfitta per farmi visitare un luogo affascinante, dove, tra poltrone impolverate, lasciate al buio e al silenzio dell’enorme sala, si respira l’aria del vecchio cinema. Ci sono ancora il palco e proiettori enormi, ma non troviamo la luce.

Così ci accomodiamo nell’atrio, illuminato e scaldato da un sole potente che attraversa le vetrate della vecchia entrata.

Quando lo incontro, Michele fa già uso di cannabis da un paio di anni per curare una forte depressione e un bipolarismo iniziati quando aveva 20 anni. Da allora era stato curato esclusivamente con psicofarmaci, ma i risultati erano stati tutt’altro che benefici: crisi di panico in mezzo alla gente, anche con gli amici, pulsioni di morte, tremori forti, incapacità di muoversi.

Michele mi racconta di essere sempre stato contrario a qualsiasi tipo di droga, di non averne provate mai nella vita e considerava droga, fino a pochi anni prima che lo incontrassi, anche la canapa. Ma negli anni in cui stava molto male ne aveva sentito parlare, soprattutto del suo aspetto terapeutico e si era informato. Convinto che potesse essere una soluzione a quella vita d’inferno, volle provare. Avvertì di questo anche la sua psichiatra che, seppur rimasta sorpresa, non lo limitò nella sperimentazione e gli consigliò di scalare lentamente gli psicofarmaci.

Accosta quei momenti a scene del film “Noi ragazzi dello zoo di Berlino”, mi racconta di giorni difficilissimi in cui il corpo doveva liberarsi da qualcosa di nocivo a cui ormai si era assuefatto: giorni di astinenza che lo facevano vomitare, graffiarsi il viso, sudare freddo, tremare.

Ma con la cannabis inizia a stare meglio, lo avverte, glielo comunica il suo corpo che reagisce, che torna a desiderare di uscire con gli amici, a dormire regolarmente, ad andare in bicicletta, a lavorare fino in Trentino, nella raccolta delle mele.

Purtroppo però quando torna, soddisfatto e felice, dalla sua dottoressa, per chiedere la prescrizione di cannabis, lei rifiuta e Michele, pur di non finanziare il mercato nero, inizia a coltivare qualche piantina in casa.

Va tutto bene inizialmente fin quando, un bel giorno, gli perquisiscono casa e viene arrestato per detenzione di 6 piantine. Etichettato come uno spacciatore, il giorno dopo vede le foto della sua stanza su alcuni quotidiani locali e su Facebook.

In seguito al processo, che lo assolve perché il caso non sussiste, riesce ad avere la prescrizione medica per la cannabis.

Risolto un problema, se ne presenta un altro: ora che ha finalmente la ricetta con cui andare in farmacia a chiedere la sua cura, non ha i soldi per comprarla, almeno non tutti i mesi.

La storia torna al punto di partenza, senza soluzione di continuità.

Nella Regione Lazio sono tre le categorie di pazienti a cui può essere prescritto il medicinale a base di cannabis in maniera del tutto gratuita, e sono tutte patologie che hanno a che fare con il dolore cronico. I disturbi di cui soffre Michele, purtroppo, non sono tra queste.

MARIA CHIARA

40 ANNI – ROMA

FIBROMIALGIA

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative per chiedere il riconoscimento della fibromialgia come malattia cronica e invalidante.

In effetti si tratta di una sindrome poco conosciuta, io stessa riconosco di aver iniziato a sentire il suo nome da pochi anni e grazie a questo viaggio nel mondo della cannabis terapeutica. Una sindrome che causa un aumento della tensione muscolare dando ai malati sofferenze e dolori continui.

Me lo spiega bene Chiara che ne soffre da circa sei anni, da quando ha subito e sofferto molto per un lutto: rigidità completa soprattutto al risveglio, vertigini, mal di testa, insonnia e tachicardia. Uno stravolgimento totale delle abitudini di vita, comprese ovviamente quelle lavorative e sociali.

Dopo la diagnosi di fibromialgia, Chiara ha seguito un iter convenzionale : cure con antinfiammatori e antiepilettici per molto tempo ma senza grandi risultati.

Quella sindrome era sconosciuta anche a lei fino a che non le sconvolgesse l’esistenza, voleva conoscerla meglio, informarsi, comprenderla e affrontarla.

Scoprì il lavoro del Dott. Poli di Firenze che da anni sperimentava le cure con cannabinoidi anche sulla fibromialgia e decise di provare.

La prima terapia che le prescrisse era molto blanda, o,3 mg di Cannabis Flos Bedrocan (THC +19%, CBD -1%)  da assumere come tisana. Nonostante il basso dosaggio però, Chiara trovò giovamenti sul fisico: diminuirono i dolori, iniziò a dormire meglio e soprattutto, iniziò a riprendere il controllo del suo corpo e della sua vita.

Così ogni mese l’Ospedale di Pisa le invia la ricetta con la terapia da seguire, lei la consegna in farmacia e dopo circa una settimana, passa a ritirare il barattolo sigillato con il numero di cartine indicate in ricetta e la grammatura prescritta.

Ogni tre mesi fa un controllo a Roma per monitorare gli effetti della terapia e capire se deve essere modificata.

E’ serena e molto soddisfatta mentre mi racconta il felice incontro con il Dott. Poli e con l’equipe di psicologi che la seguono da Pisa perché, mi spiega che, una componente fondamentale di questa sindrome, è quella psicologica: ad ogni cambiamento repentino dell’umore o depressione, tornano fortissimi i dolori e facilmente si rivive un incubo.

Un incubo che Chiara ormai ha quasi dimenticato, fatica a raccontarmelo e non vuole assolutamente riprovare.

Oltre alla cannabis continua ad assumere un miorilassante a giorni alterni e non più tre volte al giorno come prima. E’ un farmaco che agisce sul cuore e in accordo con il medico l’idea è quella di scalarlo lentamente e arrivare a eliminarlo.

Oggi che torno a trovarla in quella casetta che due anni fa stava sistemando, trovo il camino acceso e i lavori terminati. Continua la terapia con la cannabis, non assume più Bedrocan bensì Cannabis Flowers Pedanios, sempre infiorescenze di cannabis ma non più quella importata dall’Olanda ma quella che dal 2018 l’Italia importa dalla canadese Aurora. La quantità che assume è ora di 0,9 mg  e anche la percentuale di THC pari al 26%, molto più alta, quindi, rispetto a prima. Non l’assume più solo come tisana ma la vaporizza e non assume più altri farmaci.

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