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Non quando, ma come

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Non quando, ma come

Mi è capitato in questa lunga e, nel momento in cui scriviamo, ancora persistente quarantena forzata, di parlare con molte persone, di leggere un po’ di tutto, di ascoltare centinaia di voci autorevoli. Ma quella che mi ha più colpito è stata quella di un medico ultrasettantenne, di quelli che ne hanno viste tante. Un cardiologo alla vecchia maniera, che ha passato la vita a curare la gente e a riconoscere la malattia, le tante volte che l’ha vista, senza mai farsi prendere dall’ansia o dal panico.

“Io una cosa del genere – mi ha detto il medico – non l’avevo mai vista né pensata. Non pensavo che nella mia carriera avrei dovuto assistere a una cosa così”. E invece è successo. Ciò che nessuno, davvero, si aspettava, è successo. Miliardi di persone chiuse in casa in tutto il mondo, una pandemia globale prima da tutti sottovalutata, poi giunta con violenza inaudita – soprattutto in alcune zone e per determinate fasce di popolazione – e affrontata con l’istituzione di un vero e proprio regime di emergenza. 

Ovviamente in questa situazione ci sono Paesi che hanno reagito meglio e Paesi che hanno reagito peggio. Dentro gli stessi Paesi ci sono stati esempi virtuosi ed esempi disastrosi. Solo il tempo e un’analisi approfondita di ciò che è successo ci diranno chi ha fatto bene e chi ha sbagliato. Nel momento in cui scriviamo, in Italia, le vittime del Covid-19 sono 23mila. Tutte queste persone, queste vite spezzate, i loro parenti che il più delle volte non hanno nemmeno potuti salutarli, meritano di sapere come tutto ciò è potuto succedere.

Ma ora si tratta anche di capire come uscire dall’emergenza.

La “grande serrata”, lo dicono tutti gli addetti ai lavori (e non ci vuole un genio per capirlo), avrà conseguenze disastrose dal punto di vista economico. Il fatto che con ogni probabilità dovremo convivere con il virus ancora per parecchi mesi non agevolerà per niente le cose. Molti si chiedono, comprensibilmente, quando si potrà tornare ad una vita normale. E’ ovvio che sia così, ci sono miliardi di persone nel mondo che hanno dovuto affrontare un cambiamento di stile di vita epocale nel giro di pochi giorni. 

Quello che bisognerebbe chiedersi con ancora più forza, però, è “come” ripartire e non solo “quando” farlo. Una settimana in più o in meno, in queste condizioni, sono importanti, ma non sono vitali. Ciò che è vitale è capire come creare una società nuova. Con nuove regole, nuove consuetudini, perché quelle che valevano fino a due mesi fa non sono più sufficienti. “Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”, è la scritta che campeggia su un palazzo di Madrid, una delle città più colpite al mondo dall’epidemia. 

E’ il problema centrale. Come creare una nuova normalità? Una normalità rispettosa dell’ambiente in cui viviamo, rispettosa dei rapporti umani, degli equilibri naturali. Una normalità che faccia della cura delle persone e non solo del profitto e del progresso fine a se stesso un obiettivo da perseguire. Questo maledetto virus ci ha sbattuto in faccia una verità cruda. E’ arrivato dal nulla a dirci che così non si può più andare avanti. Quello che avremmo già dovuto capire da anni, con continenti interi che prendono fuoco, altri che si sciolgono, centinaia di milioni di persone in marcia alla ricerca di un futuro migliore, città collassate dal traffico, dall’aria irrespirabile, da cumuli di rifiuti. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito. 

Ecco perché è importante il quando ma è ancora più importante il come. Solo così, solo con un cambiamento profondo, ragionato, consapevole, potremo dire che il sacrificio di vite umane, l’eroismo professionale del personale sanitario, lo stress fisico e psicologico a cui tutti sono stati sottoposti in questi mesi non sia del tutto inutile. Dipenderà da chi ci governa, certo. Ma dipenderà anche dalla scelte che tutti noi faremo ogni giorno. 

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