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Diamo una chance alla canapa per risollevare la nostra economia

Ripartiamo. Non sarà facile e non sarà indolore. Le conseguenze della pandemia da coronavirus nel mondo fanno davvero paura dal punto di vista economico. Il “Great Lockdown” – definizione del Fondo monetario internazionale – al quale è sottoposta l’economia mondiale – potrebbe portare alla più ampia contrazione del prodotto interno lordo dai tempi della Grande Depressione. Si tratta di una crisi globale, senza precedenti per dimensione, che si abbatte allo stesso modo sulle economie avanzate e sui paesi in via di sviluppo, ma che avrà effetti differenziati in base al periodo nel quale si è inizialmente diffuso il contagio e alle condizioni di partenza dei diversi sistemi economici. L’Italia, inutile dirlo, pagherà un prezzo molto alto. Per questo, chi pensa che ripartire voglia dire tornare al modello di sviluppo economico che abbiamo avuto finora, non ha capito niente. Il capitalismo e la globalizzazione hanno mostrato tutti i loro limiti e devono essere in qualche modo superati. Non è una questione ideologica, ma di sopravvivenza.

Come fare? Lo dicevamo, non è semplice. Si tratta di immaginare modelli alternativi e inediti, si tratta di superare pregiudizi e scommettere. E’ in questo scenario che non può non diventare protagonista anche la canapa.

Il mondo dell’antiproibizionismo – e non solo – stima da anni le potenzialità del settore nel nostro Paese: secondo uno studio dell’Università degli studi di Messina, se si legalizzasse la cannabis lo stato potrebbe guadagnare ben 6 miliardi di euro l’anno (con innumerevoli benefici diretti e indiretti). Un ‘tesoretto’ davvero utile.

Già dai primi giorni del lockdown è stato possibile vedere gli effetti sul mercato della cannabis attualmente consentita, quella light. Da un giorno all’altro, infatti, i servizi di delivery di cannabis a basso contenuto di Thc hanno incrementato tre volte tanto i propri fatturati, mostrandoci un mercato sottostimato. Le restrizioni che hanno costretto gli italiani nelle loro case, hanno portato all’aziende che vendono cannabis molti nuovi clienti, che prima non consumavano questi prodotti ma che hanno deciso di fare ricorso alla cannabis light per superare lo stress del momento. Molto probabilmente questi clienti erano soliti rivolgersi al mercato nero. In questo modo si è fatto un doppio servizio: da un parte si è tolta linfa alla criminalità organizzata, dall’altra si è tutelata la salute dei consumatori con prodotti certificati. Facile pensare che cosa realisticamente potrebbe avvenire se si decidesse di legalizzare le droghe leggere.

Per non rimanere solo nel mondo delle ipotesi basta dare un’occhiata ad uno dei paesi dove la legalizzazione è ormai una certezza: gli Usa.

I profitti degli Stati che hanno autorizzato la legalizzazione, ci dice l’Eurispes nel suo rapporto annuale, hanno visto una rendita che ha raccolto circa un miliardo di dollari nel solo 2018, con un aumento del 57% degli introiti fiscali rispetto al 2017. Un incremento dovuto, in parte, proprio all’inizio delle vendite liberalizzate in California ed alla rapida crescita in altri Stati come Alaska, Colorado, Nevada, Washington ed Oregon.

Le tasse riscosse dalla cannabis legale in questi Stati (1,04 miliardi nel 2018) sono già in competizione col livello di tasse provenienti da tutti i tipi di alcool, che si fermano a 1,16 miliardi. Anche in questo periodo di pandemia, la vendita di cannabis è stata salvaguardata e ritenuta un bene essenziale; i dispensari che la vendono sono rimasti aperti, soprattutto per non lasciare senza i pazienti che si curano con la terapeutica.

Quali sono le categorie professionali che hanno beneficiato della legalizzazione della cannabis in Usa?

Sono tante e variegate. Si parte dalle migliaia di piccole e piccolissime aziende agricole a conduzione familiare che coltivano piantine ma esiste anche tutto un mondo di servizi che gravita intorno alla cannabis e che sta diventando grande: prodotti per la coltivazione, derivati della canapa, cibo, cosmetica, accessori e strumenti per l’assunzione, tessuti e chi più ne ha più ne metta.

Queste attività commerciali producono un viavai di clienti che ha fatto beneficiare intere zone di grandi città americane. Da ghetti o quartieri malfamati a distretti ripuliti e riqualificati, tanto che i prezzi degli immobili si sono rivalutati anno dopo anno, per la gioia dei proprietari. Oggi vivere vicino ad un dispensario è considerato un valore aggiunto.

Sono poi davvero tante anche le attività del terzo settore stimolate dalla legalizzazione. Prendiamo ad esempio il caso dell’Oregon. In questo Stato si applica un sistema di controllo qualità sulle infiorescenze pre-vendita: pertanto sono nati laboratori specifici per analizzare ed etichettare i prodotti ma anche agenzie assicurative. Da non sottovalutare il movimento di braccianti che si muovono nel periodo del raccolto portando indotto nelle città e riempiendo ristoranti, bar, negozi di alimentari, affitti brevi delle case o autonoleggi e così via.

Insomma la realtà di chi ha fatto già questo passo non lascia dubbi: legalizzare conviene. Farlo oggi, nel mezzo di una crisi economica senza precedenti, diventa quasi un obbligo morale. Soprattutto per il nostro Paese. Si spera che, almeno questa, sia la volta buona per affrontare in modo serio e responsabile un tema che può fornire davvero opportunità, crescita e posti di lavoro (più di 350mila). Oltre, e non siamo noi a dirlo ma la Direzione nazionale antimafia, anche uno stop allo strapotere delle mafie nel nostro Paese.

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