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“Non servono nuove leggi, serve chiarezza nelle norme”. Parla Giuseppe L’Abbate, sottosegretario per le Politiche Agricole

La Cannabis sativa, a causa delle criticità della 242/2016, continua ancora ad essere vittima di grandi pregiudizi, considerata addirittura una droga e non una pianta industriale. Eppure, basterebbero un paio di integrazioni alle leggi esistenti per eliminare la minaccia del reato penale (il 73 del DPR 309/1990). C’è la volontà politica, oggi, di colmare quei vuoti normativi?

A causa di più di un secolo di disinformazione e pregiudizi, tante persone ancora oggi fanno molta confusione tra Canapa Industriale (Sativa) e Cannabis (Indica). 

A dare una base giuridico-scientifica ad una distinzione totalmente arbitraria fu nel 1971 un ricercatore canadese, Ernest Small, che da una parte sosteneva che non esisteva alcun confine scientifico nel quale distinguere in base al contenuto di THC tra canapa e marijuana, ma che se questo confine doveva essere posto, poteva essere in una concentrazione di THC allo 0,3%. Successivamente, negli anni novanta, il limite fu innalzato allo 0,5% e questo limite è rimasto, anche in Italia, nella normativa a carattere penale.  

Con la legge n. 242/2016, che è una legge sulla canapa industriale (sativa), è stata resa legale in Italia coltivazione di canapa proveniente da varietà certificate, iscritte al Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002. 

Gli ambiti della 242 sono quelli leciti, la Canapa industriale è un prodotto agricolo come viene detto dalla normativa comunitaria. Quindi a chiarire la confusione tra stupefacenti e Canapa, interviene anche il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, in cui la “canapa greggia, macerata, stigliata, pettinata o altrimenti preparata, ma non filata”, viene considerata prodotto agricolo. Nel 2015 il regolamento comunitario 220 ribadisce questo punto qualificando la Canapa come prodotto industriale, mentre il regolamento (CE) n. 1308/2013 sull’organizzazione del mercato comune dei mercati dei prodotti agricoli, all’art. 189, stabilisce le condizioni per l’importazione dei prodotti di canapa in UE e fissa nello 0,2% il limite di THC per l’importazione di canapa greggia, sementi destinate alla semina, nonché diversi da quelli destinati alla semina, tanto da prevedere precisi codici doganali. 

Tornando alla L.242/2016, il primo vulnus della normativa sta nel non aver altrettanto meglio specificato quale limite dello stesso principio attivo THC si doveva prevedere negli alimenti a base di canapa, lasciando l’onere della definizione dei limiti ad un decreto del Ministero della Salute. Questo DM 4/11/2019, pubblicato nella GU 11/2020, ha fissato, in via definitiva, i limiti di THC in 0,2 mg/kg per semi, farina e integratori e in 0,5 mg/kg per l’olio ottenuto dai semi di canapa. L’altro punto molto attenzionato è quello relativo alle infiorescenze che se detenute dall’agricoltore secondo i dettami della L.242/2016 sono perfettamente lecite e diventano illegali nel momento in cui passa al negozio senza un puntuale accertamento del contenuto del principio attivo THC, che deve essere al disotto della soglia 0,6%. Considerato che il livello di THC varia a seconda del periodo, delle condizioni pedologiche e della varietà, l’intervento del Mipaaf sarà quello di supportare la filiera creando sinergie tra istituzioni e mondo della ricerca per aiutare a decollare anche questo segmento creando un’uniformità normativa anche con altri Paesi europei.   

L’impegno del Ministero delle Politiche Agricole e del Governo sarà massimo per consentire agli imprenditori agricoli italiani di svolgere un ruolo da protagonista nello sviluppo del mercato mondiale della canapa industriale. Personalmente sono disponibile per qualsiasi incontro e confronto.  

A causa di queste incertezze, molte aziende hanno dubbi ad investire nel nostro Paese. Un esempio su tutti è la multinazionale canadese Canapar che, dopo aver investito oltre 20 milioni di dollari in Sicilia per nuovi impianti di estrazione, ha annunciato che sarà costretta a guardare alla Bulgaria per reperire la materia prima di cui ha bisogno. Questo sta accadendo anche ad altre realtà, a chi giova perdere un treno così economicamente ghiotto come la quello della canapa? 

La normativa comunitaria e la legge n. 242/2016 permettono la coltivazione di canapa industriale proveniente da varietà certificate, ovvero quelle iscritte al Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole e a basso contenuto di THC senza danni e pericoli per l’imprenditore agricolo, in quanto si tratta di un “prodotto agricolo” per espressa definizione del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. 

Tutto ciò che riguarda invece la trasformazione della canapa per uso medicale ha, invece, bisogno di maggiore attenzione. 

In tale direzione si sta anche procedendo con un’attività di approfondimento scientifico che oltre a dare le evidenze scientifiche può supportare l’estensore delle norme. 

Sicuramente la creazione di una Banca del seme che possa favorire la moltiplicazione del seme italiano nonché l’avvio di percorsi specifici per valorizzare i vari comparti di utilizzo della canapa sono fattori fondamentale per sviluppare una filiera italiana. 

Lei ha menzionato più volte l’esigenza di un tavolo tecnico composto da politici e addetti al settore che permetterebbe di ragionare seriamente sulle tante criticità ideologiche esistenti. È un’opzione fattibile e concreta? 

L’istituzione di un tavolo di filiera con competenze eterogenee che contribuiscano a chiarire quello che si deve fare e in che direzione andare per costruire una filiera completa e assicurare una buona redditività agli imprenditori agricoli che investono in tale coltivazione ritengo sia un passo fondamentale per il settore.  

Quindi non servono altre leggi, serve logica, buon senso, servono interpretazioni delle norme esistenti, perché avere chiarezza della norma permette agli imprenditori di essere sicuri e di non avere problemi se investono in questa produzione. Serve chiarezza perché la canapa è un prodotto innovativo che può contribuire a rafforzare il Made in Italy. 

Per questo, occorre maggiore preparazione tecnica da parte degli operatori del settore. Occorre alzare il livello delle competenze e del dibattito in modo da permettere di cogliere tutte le opportunità offerte da questa coltivazione. 

Vorrei avviare il tavolo canapa per approfondire tutte le questioni del settore separando le questioni di diretta competenza del dicastero alle Politiche agricole dalle altre che andranno esaminate con gli altri ministeri coinvolti. Il tavolo dovrebbe avere il compito di definire le attività da intraprendere per il sostegno del settore, a partire da un’analisi del comparto che ne metta in luce le potenzialità e i punti di debolezza, individuando le linee di ricerca che risulta più urgente perseguire, favorendo lo scambio di informazioni di natura tecnica e scientifica e indirizzando al contempo l’utilizzo delle risorse a disposizione. 

In particolare, l’attivazione della filiera alimentare, con la produzione di semi, farina e olio, particolarmente interessante per gli agricoltori che realizzerebbero a prezzi remunerativi un prodotto molto ricercato dal mercato e il cui approvvigionamento avviene attualmente principalmente attraverso l’importazione. 

In tale ottica, il tavolo potrebbe contribuire a fare chiarezza allo scopo di permettere, da un lato, al produttore di operare in piena sicurezza e, dall’altro lato, al consumatore di acquistare un prodotto salubre e sicuro.  

Entrando nello specifico su alcune criticità, durante un recente incontro organizzato da Federcanapa Lei ha parlato di possibili interventi sul Collegato Agricolo. Quali sono i tempi e che tipo di cambiamenti ritiene plausibili? 

Superata l’emergenza Coronavirus, avremo modo di poter lavorare anche sul Collegato Agricolo dove dovrebbe essere prevista una parte dedicata alle singole filiere. A tempo debito, saranno fatte tutte le dovute valutazioni nell’interesse del settore.  

Parlando invece di canapulo, se venisse riconosciuto a livello ministeriale il settore ne gioverebbe molto. La certificazione delle materie prime o alcune linee guida permetterebbe, ad esempio, un utilizzo molto più semplice del mattone in canapa nel settore edile. Pensa sia un argomento che il ministero dell’Agricoltura potrebbe affrontare? 

Non sussistono limiti da parte della L. n. 242/2016 in quanto, anche volendo interpretare in maniera tassativa l’elenco di cui all’art. 2, appare di tutta evidenza come vi sia un elenco piuttosto ampio di prodotti che si possono ottenere con la canapa sativa L. coltivata. Si tratta di una legge che ha come fine principale di incentivare lo sviluppo di una filiera produttiva, incentivando la ricerca e lo sviluppo scientifico intrinsecamente volte a realizzare prodotti innovativi che ancora non esistono sul mercato.  

Sicuramente è opportuna una regolamentazione che consenta la commercializzazione dei prodotti rispettando tracciabilità ed etichettatura.  

In particolare, il canapulo o residuo legnoso, da lei citato, è già un prodotto agricolo che oggi ha diversi impieghi che vanno dall’edilizia alla trasformazione in pellet da riscaldamento. Il canapulo viene utilizzato per produrre un biocomposito costruttivo detto calce-canapa. La frazione del canapulo che rappresenta 2/3 della biomassa secca prodotta dalla coltivazione, che tradizionalmente era bruciata, oggi con riferimento proprio alle normative europee sull’isolamento acustico oltre che termico è divenuto un attore importante nella filiera della Canapa. 

La questione importante relativamente all’ottenimento di questo prodotto è che sono necessari investimenti consistenti in macchinari e strutture di trasformazione. L’impegno del Mipaaf sarà quello di inserire a pieno titolo la canapa industriale e i suoi derivati nella programmazione strategica della PAC 2021-2027 per consentire l’attuazione di interventi aziendali mirati. 

La crescita della filiera ha bisogno di molte risorse. Servono impianti, macchinari, essiccatori. Gli investimenti previsti dalla legge 242 per innovare il settore però sono bloccati, che futuro vede? 

Non ci sono ad oggi risorse destinate al settore della canapicoltura, nonostante siano previste dalla legge 242 all’articolo 6 per “favorire il miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione nonché il finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e i processi di prima trasformazione, per la ricostituzione del patrimonio genetico e l’individuazione di corretti processi di meccanizzazione”.   

La previsione di risorse per incentivare la filiera rende prioritaria e necessaria una reale cognizione della concentrazione della produzione sui territori che ancora non abbiamo.  

Con il supporto del tavolo di filiera una delle cose che sicuramente dobbiamo fare è l’individuazione dei possibili beneficiari per i quali stanziare risorse. 

Le contribuzioni e le agevolazioni dovrebbero poter giungere anche agli imprenditori agricoli per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. 

Come ho già detto in altre occasioni, quello della Canapa è definito dagli statunitensi come settore domino in quanto in cascata crea delle economie in tanti comparti, alimentare, tessile e tanti altri ed è su questo che dobbiamo lavorare.  

Il settore sta attraversando un periodo davvero duro, condizionato da una caccia alle streghe e da un’ondata culturale che identifica la pianta come una droga. Pensa che i tempi siano maturi per cambiare questo atteggiamento? 

Una delle attività del ministero dovrebbe essere proprio la corretta informazione sulla realtà del settore e sulle produzioni, promuovendo l’intero comparto e mettendo in primo piano le nuove applicazioni a più alto valore aggiunto tra cui quello alimentare. 

Sicuramente il clamore mediatico e le strumentalizzazioni sulla commerciabilità della cd. cannabis light, non hanno aiutato a comprendere la realtà e le differenze con i prodotti a base di cannabis sativa L, catturando l’attenzione dell’opinione pubblica sull’aspetto ludico della stessa ma non sull’importanza che le infiorescenze potrebbero rappresentare per l’estrazione di principi attivi molto utili in campo medicale e nutrizionale. 

Ora, anche alla luce della sentenza del 30.05.2019 che, ribadisce come non costituisca reato la commercializzazione al pubblico di prodotti derivati dalla coltivazione di cannabis sativa L. con valori di THC inferiori allo 0,5%, lo scenario appare indubbiamente più chiaro.  

È, quindi, la destinazione di utilizzo che rende lecita la Canapa. Le sei destinazioni dalla lettera A alla lettera G previste dalla legge 242 determinano la liceità dei prodotti. Tutto il resto dovrà essere valutato caso per caso sotto il principio dell’efficacia drogante.  

Ecco che siamo di fronte ad una interpretazione chiara per quanto riguarda le fasi post raccolta e, esclusa la rilevanza penale, nel nostro ordinamento non sussistano ulteriori divieti alla commerciabilità di tali prodotti. 

Svanito questo dubbio si può riprendere il discorso e andare nella giusta direzione. 

Credo che i tempi siano maturi dal punto di vista culturale per superare alcuni blocchi che, per forza di cose dopo cinquant’anni di disinformazione, hanno creato una barriera difficile da demolire. Grazie alla spinta di associazioni, delle imprese agricole, è arrivato il momento di fare passi avanti.

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