Il presente contributo ha un chiaro obiettivo: condividere con i lettori l’esperienza professionale che ci ha portato, in un caso, a risolvere il problema di approvvigionamento di cannabis per un paziente affetto da grave patologia; in un altro, ad intervenire per tutelare il diritto ad iniziare la cura.
Prima di entrare nel merito, però, ci teniamo a scusarci con il Collega Nicomede Di Michele per un nostro articolo pubblicato su BeLeaf Magazine nel quale, per una nostra grave svista, pur riprendendo il suo scritto intitolato “IL DIRITTO A NON SOFFRIRE CHE LO STATO NON GARANTISCE” non è stato citato.
Il caso di Luigi Di Pasquale
Dal 1993 è afflitto da una grave forma del morbo di Chron e da un nodulo polmonare di origine infiammatoria associato ad una grave forma di neuropatia brachiale con il riconoscimento di invalidità all’80%.
Stante l’inefficacia dei trattamenti con farmaci antinfiammatori cortisonici ovvero oppioidi, a partire dal 2017 l’ospedale ha prescritto al nostro Assistito cannabis per uso terapeutico per un dosaggio di 10.000 mg al giorno (farmaco Pedanios/Bedrocan).
In particolare, come chiaramente attestato dai medici che lo hanno in cura da molti anni, Luigi è costretto ad assumere la cannabis terapeutica “ad alte dosi” (principio attivo pari al 20%-22% di THC).
In verità, proprio grazie ai farmaci a base di cannabis, il paziente ha ridotto i ricoveri ospedalieri ed ha notevolmente migliorato il trattamento del morbo di Crohn.
Nonostante la cura di cannabis abbia conferito beneficio al paziente ed assicurato allo stesso uno stile di vita consono e dignitoso, la farmacia ospedaliera ha cominciato a ridurre arbitrariamente la prescritta dose giornaliera e, addirittura, a non somministrargli il farmaco per lunghi periodi di tempo per carenza di approvvigionamento.
L’omissione in questione stava causando una duplice conseguenza: da un lato, la progressiva paralisi delle funzioni biologiche di Luigi, nonché la causazione di dolori ormai cronicizzati ad esclusiva causa del difetto di assunzione dei farmaci sopra detti; dall’altro, lo ha costretto ad indirizzarsi al mercato nero per approvvigionarsi di marijuana al fine di lenire i suoi lancinanti dolori.
Successivamente alla nostra diffida, lamentando la lesione del diritto alle cure, l’azienda ospedaliera ha ripristinato la somministrazione comunicandoci, allo stesso tempo, che «Tuttavia a livello nazionale la tipologia di cannabis ad alto tiolo (THC 17-26%, CBD 1%), in quanto di importazione, risulta esaurita da mesi per cause non imputabili all’Azienda scrivente».
Cannabis Cura Sicilia
L’associazione, nata nel 2013 e costituita da pazienti che soffrono di differenti patologie, si è rivolta al nostro studio legale al fine di supportarli giuridicamente nella battaglia avente ad oggetto i seguenti obiettivi:
1) ottenere la disponibilità di un medico specialista che abbia in cura i pazienti, iscritti all’Associazione, che possa certificare i benefici ed il bisogno della cannabis ad uso terapeutico;
2) presentazione delle istanze alle aziende ospedaliere di competenza al fine di ottenere la somministrazione di cannabis, per le patologie indicate dal Decreto Ministeriale del 9 novembre 2015, il cui costo è a carico del Sistema Sanitario Regionale;
3) tutela legale nel caso in cui le aziende ospedaliere si dimostrino impreparate alla somministrazione della cannabis, sì da costringere i pazienti a rivolgersi al mercato nero gestito dalle criminalità organizzate.
4) presentazione di un’istanza indirizzata al Ministero della Salute al fine di ottenere l’autorizzazione alla coltivazione previa individuazione, come prevede l’art. 18 quater D.L. 148/2017, di uno o più enti o imprese idonee alla coltivazione di cannabis.
Conclusioni
Come noto, in Italia la cannabis medica sconta un triplice gap:
– la disciplina sanitaria è di competenza regionale: da ciò, quindi, la disorganicità della disciplina per l’adozione di una politica unitaria di sensibilizzazione all’utilizzo della cannabis medica anche in tema di rimborsabilità del farmaco (attualmente le Regioni che hanno emanato leggi regionali in materia di erogazione di “farmaci cannabinoidi” sono: Puglia, Toscana, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Abruzzo, Umbria, Sicilia, Basilicata, Emilia Romagna, Piemonte, Campania, Lazio);
– nonostante il monito di aggiornamento biennale delle evidenze scientifiche al fine di ampliare la gamma delle malattie curabili con la cannabis, i derivati della cannabis sono riconosciuti come prodotti curativi soltanto per alcune gravissime patologie indicate nel Decreto Ministeriale del 9 novembre 2015 (spasticità associate al dolore, analgesia per il dolore neurogeno, etc.) ed il cui costo è a carico del Sistema Sanitario delle Regioni che possono discrezionalmente decidere di non prevedere il rimborso per alcune patologie;
– i farmaci in questione non godono di autonomia terapeutica ma sono intesi soltanto quali prodotti fitoterapici ad azione sintomatica di supporto ai trattamenti standard, «quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati ovvero hanno provocato effetti secondari non tollerabili, o necessitano di incrementi posologici che potrebbero determinare la comparsa di effetti collaterali».
A fronte di tale quadro legislativo e sanitario, il nostro obiettivo è agire nella massima collaborazione con gli istituti sanitari, tenendo, però, il pugno fermo affinché il discorso moralistico proibizionista (“è cannabis quindi non è farmaco”) non si traduca – come purtroppo spesso accade – nella violazione del diritto fondamentale dell’individuo alla libertà di cura.