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HomeCannabisLa legalizzazione per ripartire. Il caso di New York

La legalizzazione per ripartire. Il caso di New York

Il termometro cannabico di Marta Lispi

Cari cannabici,
l’esperienza della quarantena è stata significativa per tutti noi, ci sentiamo già sollevati da tale onere tanto che la vita si è ripresa la città inondando le strade di auto e persone mascherate. Questa reazione fa temere una fase 3 molto simile alle vacanze romane, dove notoriamente la città è fantasma.

La Cassazione ha motivato la sentenza dando uno pseudo-vialibera alla produzione domestica e la stampa è in preda alla Cannabis Mania.

La rassegna stampa quotidianamente affronta: coltivazioni con strumenti rudimentali, la crescita del 500% delle vendite di cannabis light con annessa intervista all’azienda del momento e una notizia blaterante inerente la canapa ad uso industriale.

La speranza è di passare dalla disinformazione all’informazione, è un processo storico naturale per cui è inevitabile gioire anche solo delle costanti attenzioni pubbliche prive di diffamazione, a maggior ragione in pandemia globale quando se non è un virus o un complotto la notizia non interessa a nessuno.

Il covid19 ci ha obbligato a un periodo di introspezione, sacrificio e sopportazione universale. Risollevati dalle oppressioni del proibizionismo, liberi da leggi-incostituzionali e persecuzioni coatte, ci sentiamo supportati dalla scelta della cultura cannabica da parte delle istituzioni, dalle dichiarazioni dell’esecutivo e le sentenze del giudiziario. Quello che manca è ancora la collaborazione del legislatore.
Sappiamo che le infiorescenze con un alto contenuto di CBD hanno anche una quantità irrisoria di thc (<0,5%), considerato che: le vendite di cannabis light sono quintuplicate in due mesi e le prescrizioni di cannabis terapeutica crescono esponenzialmente, allora si può concludere che l’Italia sta proseguendo per inerzia un processo avviato 13 anni fa con la legalizzazione dell’uso medico.

Questa legalizzazione parziale va in contraddizione con il dpr 309/90, privando i “lavoratori cannabici” che ricoprono incarichi per cui vengono sottoposti a test antidroga del diritto di libertà di cura (art.32 della Costituzione).
Vorrei portare all’attenzione la soluzione adottata pochi giorni fa a New York, dove è legale l’uso medico e il possesso di piccole quantità di cannabis.
New York City ha vietato a molti datori di lavoro di richiedere il test per l’uso di cannabis ai dipendenti, ai sensi di una legge entrata in vigore lo scorso fine settimana. L’avvocato Jumaane Williams, un democratico che ha sponsorizzato la legge, ha detto in una dichiarazione pubblica martedì scorso: “In particolare ora, mentre siamo alle prese sul come riprenderci dalla crisi economica causata dalla pandemia di COVID-19 e dai peggiori livelli di disoccupazione in un secolo, dobbiamo creare più punti di accesso per l’occupazione, non meno”.

Questa scelta anche per eliminare il pregiudizio e permettere alle persone in cerca di lavoro di venire giudicati per le capacità professionali, anziché sulle abitudini personali.

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