“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” – Art. 1 – Costituzione della Repubblica Italiana – 1947.
E’ realmente democratica una nazione proibizionista? Potremmo definire il nostro paese paternalista? In linea teorica il liberalismo e l’antipaternalismo sono aderenti al concetto di democrazia, in pratica le scelte di un governo dichiaratamente democratico potrebbero essere dei limiti alle libertà personali ed imporsi oltre la necessaria esistenza di uno Stato, assumendo la forma del sovranismo patriarcale.
Il paternalismo giuridico è la concezione dello Stato come un istituzione etico politica che può intervenire in modo impositivo, con la forza e contro l’espressa volontà di un individuo adulto e cosciente. E’ una dottrina molto diffusa in Occidente, che ha come unico obiettivo il bene dell’individuo al di là delle sue espresse volontà.
Le libertà personali, però, rimangono tali finché sono scelte che concernono esclusivamente la propria sfera di vissuto, senza danneggiare terzi. La discussione aperta su questi argomenti, però, denuncia l’invasione normativa sulla scelta dell’individuo: la liceità della prostituzione, il consumo di sostanze stupefacenti, l’eutanasia, aborto, orientamento sessuale, rituali religiosi sono i temi caldi che affondano nel paternalismo giuridico.
L’immagine del consumatore di sostanze psicotrope, in particolare il paziente cannabico, è strettamente connessa a quella del tossicodipendente in cerca di una scusa/prescrizione per l’assunzione. Il pregiudizio della classe politica, al contrario, non collima con l’orientamento della Corte di Cassazione, che dalla sentenza 12348/2020 ha avviato una legalizzazione giuridica della cannabis. Attualmente sono quasi sempre assolti gli autoproduttori di cannabis a uso personale, senza cessione, nella propria abitazione e senza che siano coinvolti terzi. La linea della giurisprudenza è coerente con l’ONU che dal dicembre 2020 ha richiesto l’eliminazione della cannabis dalla tabella delle sostanze pericolose riconoscendone le sue proprietà terapeutiche. Il proibizionismo è quindi un assunto dal patriarcato e dall’educazione tradizionale pseudo cattolica che contraddistingue i paesi sovranisti o ex-sovranisti. In un altro momento potremo osservare da quali orientamenti politici è nata invece la depenalizzazione delle sostanze psicotrope a scopo medico.
La sommaria aggregazione di tutte le sostanze stupefacenti in un’unica categoria appartiene alla popolare “cultura antidroga” che non distingue l’effettiva offensività della sostanza su basi scientifiche. Il pregiudizio sugli assuntori di droghe è stato accentuato dall’intolleranza rispetto al degrado, in contrasto con l’ordine e il decoro, identificati in: tossicodipendenti, immigrati, senzatetto, diversi in generale. La classica guerra tra poveri.
La normativa antidroga accentua la discriminazione alludendo a “beni teorici” come: la sicurezza, l’ordine pubblico, la salvaguardia delle nuove generazioni e la salute.
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.” Art. 32 – Titolo II Costituzione della Repubblica Italiana – 1947
Il “rinascimento psichedelico” riporta alla luce l’uso di droghe naturali per il trattamento efficace di patologie. Per questo possiamo affermare che: il proibizionismo attraverso il paternalismo giuridico trasforma un diritto in obbligo per tutt3.