Si chiama Eisenia fetida, ma nonostante il nome è un’ottima alleata dell’olfatto, perché i suoi effetti rendono i fiori della cannabis particolarmente profumati. Infatti questo prezioso lombrico ha la capacità di creare un ricco e fertile humus con cui le radici della cannabis vanno molto d’accordo. È scritto in quasi tutti i manuali di canapicoltura, anche per principianti: «Un terzo di humus di lombrico nel suolo assicura il necessario nutrimento fino alla fioritura», questa è più o meno la formula standard che spesso si incontra. Dietro «quel terzo» c’è un mondo di appassionati coltivatori e coltivatrici di lombrichi, sparsi in tutta la penisola, attivi nel rivitalizzare terreni sfiancati, balconi ingrigiti, growbox semi nascoste e aziende agricole in crescita.
Rivitalizzare è il termine corretto perché è questo ciò che fa l’humus di lombrico: «popola» di microorganismi un terreno che spesso ne è molto povero, a causa di tecniche di coltivazione intensive. Per la canapa significa molto: «La vitalizzazione di un suolo agisce non solo sulla salubrità della pianta ma anche sul suo gusto finale», spiega Marco Calcaprina del Centro Lombricultura Toscano, che dal 2013 coltiva lombrichi (del tipo Eisenia fetida e Eisenia Andrei) e produce sia humus che impianti di lombricoltura. Il CLT ha prodotto i primi impianti per la canapa nel 2017: «Nel boom del settore registrato in quell’anno», racconta Marco, «seguito dal calo del 2019, dettato anche dal contesto politico. Con il 2020 molte aziende hanno ricominciato a coltivare cannabis e abbiamo ripreso a lavorare con questo settore, mettendo a frutto le scoperte fatte nel frattempo».
Le proprietà dell’humus in agricoltura sono note e riguardano innanzitutto la formazione di una struttura stabile del terreno. Un terreno è stabile quando presenta un rapporto equilibrato tra umidità e aerazione, quindi tra le sue proprietà fisico-meccaniche, e l’humus contribuisce positivamente a questo equilibrio. Il vermicompost dei lombrichi inoltre conferisce al terreno una maggiore capacità di ritenzione idrica, pur lasciandolo soffice e permeabile. Poi c’è la popolazione di microorganismi: «Sono loro i principali responsabili dell’interazione tra humus e canapa», dice Marco. «Agiscono determinando l’aumento di alcuni metaboliti secondari della pianta, ovvero sistemi di difesa, che favoriscono il rilascio dei terpeni – sappiamo quanto siano importanti per chi produce infiorescenze – ma anche alcaloidi e polifenoli». «È un meccanismo base dell’humus affascinante», spiega Giulia Carpi, l’agronoma del CLT. «Quando si inocula di humus il suolo non si fornisce solo sostanza organica, ma anche una serie di organismi della rizosfera, chiamati PGPR – plant grow promotion ryzobatheria – che mettono in una sorta di alert la pianta. Sono organismi positivi che però stimolano la pianta a difendersi. E le difese prodotte non vengono utilizzate contro i microorganismi contenuti nell’humus, ma contro eventuali patogeni, quindi rendono la pianta più robusta».
L’humus del CLT è passato nelle mani di diversi canapicoltori: «Spinti dalla curiosità e dai riscontri avuti, abbiamo incrociato la produzione di humus con altre sperimentazioni in ambito di piante aromatiche, dove abbiamo visto che tutti i rilasci di questi metaboliti secondari hanno a che fare con la difesa e quindi, direttamente e indirettamente, sul potere organolettico». Un crocevia dell’agricoltura biologica, quest’ultimo, che fa incontrare più frontiere: dalla produzione di qualità all’induzione della resistenza nelle piante. Si chiama agricoltura preventiva, ed è quella che crea le condizioni per usare la minor quantità possibile di fitofarmaci di sintesi. Tra le collaborazioni del CLT, non a caso, c’è anche la prestigiosa Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, con un progetto proprio in questo settore di ricerca. «Un altro aspetto che stiamo sperimentando – dice ancora Marco – è la possibilità di utilizzare gli scarti della lavorazione della canapa, soprattutto ciò che resta del gambo, come biomassa da compostare, e una volta compostata, come alimentazione per i lombrichi. Le aziende che producono infiorescenze in questo modo possono valorizzare un prodotto di scarto, piuttosto che bruciarlo o buttarlo via. In un’ottica di economia circolare significa chiudere un circuito all’interno dell’azienda, con risparmi e miglioramento della produzione». Un meccanismo valido per altre colture, dal grande potenziale, tanto che la lombricoltura del CLT è stata recentemente inserita anche sulla Piattaforma Italiana degli attori per l’Economia Circolare (ICESP).
In Italia sono molti i produttori di canapa che hanno scelto l’humus di lombrico, sia come prodotto, sia con l’installazione di un impianto per la vermicoltura direttamente in azienda. Fra loro ci sono anche realtà giovani, come Villa Toscanna, azienda franco-italiana, incastrata come un prezioso tra le colline a est di Firenze, a due passi dal Chiantishire. Qui, nelle radure protette dai boschi, cresce la loro coltivazione di cannabis: 4.000 piante a filari intervallati da 600 olivi. A questo si aggiungono 10 arnie e 2000 mq di orto con frutta e verdura poco distante, poi le galline, gli alpaca e qualche metro più in là, il laboratorio per l’infusione degli olii: «Siamo tre ragazzi francesi arrivati in Italia nel 2019 con un sogno, quello di scoprire e sviluppare il patrimonio di risorse e conoscenze della Toscana», racconta Hugo Giry, uno dei protagonisti di questo sogno. «Vogliamo preservare tradizioni e autenticità, per portare avanti una coltura ancestrale come l’olivo e sviluppare la promettente coltura della cannabis sativa». Con Hugo c’è Charles-Antoine Perrier, insieme sviluppano i prodotti futuri. Alla coltivazione ci pensa invece Valentin Faviere, che si occupa della parte agricola con tre dipendenti italiani: «La nostra cannabis è coltivata con amore e cresce sotto il forte sole della Toscana in sinergia con ciò che c’è intorno», raccontano.
Nel loro paniere futuro prevedono «olio di oliva e miele infusi al CBD, tutto dalle nostre produzioni. Qui da noi la canapa condivide la terra con gli ulivi, cresce insieme alla frutta e alle verdura nell’orto. È una strategia voluta: adottiamo infatti un approccio agroforestale e biodinamico, lontano dal concetto di monocoltura». Un esempio pratico di cosa significhi coltivare in modo sostenibile e rigenerativo? «I nostri ulivi proteggono dal vento le piante di canapa, il cui apparato radicale migliora la qualità del suolo, mentre il suo scarto vegetale favorisce una migliore crescita e fruttificazione degli ulivi». Capita così che gli effetti di queste scelte siano più rapidi di quanto si possa immaginare: «Stanno arrivando nuove specie di animali e di insetti, che avranno un ruolo diretto sulla gestione dei parassiti, oltre ad arricchire la biodiversità di questo ambiente. Una terra rigenerata sa difendersi meglio». Una lezione confermata dal vermicompost, che a Villa Toscanna è stato scelto anche a fronte di raccolti più abbondanti: «Durante la nostra seconda stagione di coltivazione abbiamo sia testato diversi fertilizzanti che realizzato il nostro compost», spiega Valentin. «Il confronto è stato chiarissimo: le piante erano due volte più grandi con il compost. Fatti due conti, si è reso necessario trovare un modo per produrlo in proprio e l’impianto per i lombrichi è stato la soluzione». «Abbiamo scelto di gestire i nutrienti delle nostre piante con lombricompost perché purifica e ripristina il terreno – dice ancora Valentin – e perché è un fertilizzante ecologico al 100%».
Ora che è caduto lo stigma che li vuole solo viscidi e repellenti, allevarli è diventata un’attività non solo soddisfacente, ma utile per il pianeta. E se installare una “lettiera” (si chiama così) per coltivare una vivace comunità può non essere alla portata di tutti, c’è sempre una giornata da festeggiare: è il 21 ottobre, Giornata mondiale del Lombrico. Per ricordarci che sotto terra c’è un sacco di vita preziosa.