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L’udienza di Beatrice: un anno dopo

L’incubo di Beatrice potrebbe finire domani. Abbiamo conosciuto Beatrice all’inizio della sua disavventura, in poco meno di un anno ha subito una perquisizione domestica, gli arresti domiciliari, il sequestro di beni privati e di materiali aziendali, è stata poi archiviata l’accusa per l’art.73 co IV dpr n. 309/90, ma ora manca il dissequestro delle infiorescenze.

L’udienza prevista domani è stata fissata dal giudice per le indagini preliminari, dott.ssa Sonia Cavarelli. L’avv. Lorenzo Simonetti ha richiesto al Tribunale di Piacenza il dissequestro delle infiorescenze risultate legali dai test delle FFOO. L’imprenditrice di Podenzano è positiva: “non vedo perché non dovrebbero restituirmi il mio materiale, anche perché non c’è nulla di illegale! Quello che è da valutare, piuttosto, è la condizione in cui sarà dopo dieci mesi nel deposito della guardia di finanza.”

L’evidente innocenza non ripagherà salute, denaro e danni d’immagine lesi a Beatrice anche se è una persona forte della sua professionalità e onestà, per questo non ha mai chiuso il suo grow shop.

“E’ andata bene che il materiale non è stato distrutto immediatamente – spiega Beatrice – alle volte non si può richiedere la restituzione per questo motivo. I soldi me li hanno ridati il 24 Dicembre, il maresciallo mi ha chiamata, sono stati molto carini”.

La rassegna stampa quotidiana continua a riportare notizie poco consolanti sulla tutela dei diritti del cittadino, sequestri ai danni di negozianti e agricoltori sono tutt’ora all’ordine del giorno. Un duplice danno, come spiegato in numerose occasioni: un’inutile spesa per le casse dello stato e per la persona. Non solo, colpire e indebolire una filiera nascente è un mancato introito, viste le promesse di sviluppo di questa economia.

Il growshopparo è un mestiere che ha aiutato a sviluppare il tessuto culturale della cannabis in Italia, due decadi prima della cannabis light in questi negozi si parlava già di autoproduzione con rischi molto alti per i proprietari. Era in pieno proibizionismo quando furono processati e assolti gli operatori di molti grow shop, indagati per istigazione a delinquere e alla produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Negli ultimi anni, invece, è oggetto di sequestri e indagini la presenza di infiorescenze di canapa come da DPR 309/90 per la detenzione e la cessione a terzi.

Quante assoluzioni ci vogliono per fare una legge?

Quanti anni dovranno passare, quanti soldi delle casse pubbliche devono essere impiegati nella lotta agli operatori del settore e quanti di loro dovranno essere martiri per il progresso ce lo siamo chiesto con Beatrice, proprietaria del grow shop di Podenzano.

La storia di Beatrice inizia nel maggio 2019, quando decide di impiegare la sua passione, le sue energie in un grow shop: YOUCANN. Un nome che ricorda sia la cannabis ma soprattutto la possibilità di realizzare i propri sogni: “Era parecchio tempo che mi girava in testa di aprire un grow shop ma non avendo soldi ho sempre accantonato il progetto” – racconta Beatrice ricordando come il “posto fisso” sia una figura mitologica dello scorso secolo – “Purtroppo a 40 anni mi trovai senza lavoro e fu un escalation di esperienze a termine e di porte sbattute in faccia. Mi sentivo sempre dire che ero troppo vecchia o troppo qualificata.”

La cannabis è stata quindi salvezza nel momento del bisogno, e questa pianta quando la conosci accade spesso che ti appassioni: “Circa 6 anni fa mi ritrovai in una brutta situazione, violenze psicologiche dal mio compagno, e quando riuscii a scappare da mamma ero già in preda di forti attacchi d’ansia e di panico. Dopo varie sedute dallo psicologo, la cannabis e tanto amore dalla mia famiglia mi ripresi. Mancava il lavoro, però. Così decisi di aprire Youcann: ora potevo far conoscere al mondo la Cannabis e quanto mi stava facendo bene.”

Si dice che alzare la serranda è il primo atto antiproibizionista che un growshopparo faccia al mattino. E’ un’immagine bellissima che riporto spesso, poiché rende bene l’impegno sociale e culturale che implica la gestione del grow shop, non è mero commercio. Beatrice è una growshoppara che ama il suo lavoro: “Non saprei se definirmi attivista o meno, spesso le classificazioni contengono dei limiti. Diciamo che amo e rispetto la cannabis, come amo e rispetto tutti gli esseri viventi, la utilizzo, non me ne vergogno e non mi sento una drogata, e cerco di informare il più possibile sui benefici di questa pianta. Se questo vuol dire essere attivista, allora lo sono!”

 

Dal sogno, il grow shop, all’incubo, il processo per detenzione e spaccio!

Aprire un grow shop implica esporsi a controlli da parte delle FFOO, a sequestri e processi in modo più facile rispetto a qualsiasi altra attività commerciale: è un incubo per gli operatori della filiera cannabica e i vuoti normativi pagati dai lavoratori.

Beatrice ha vissuto tutto questo, ma: “per i miei clienti non è cambiato nulla, sanno che la loro tutela è la mia priorità. La Guardia di Finanza si è presentata il 15 novembre 2021 alle 6.30 del mattino mostrando un regolare mandato di perquisizione spiccato dalla Procura di Brescia”.

Beatrice ricorda con ansia quei terribili momenti che le hanno cambiato la vita: “Si sono presentati a casa di mia mamma, dove vivo perché ha 81 anni e una fibrosi polmonare. Sono arrivati a me tramite dei messaggi scambiati con un collega in cui parlavamo di coltivazione”. Le guardie si ritrovano nella casa dell’anziana signora con la massima collaborazione di Beatrice dinnanzi ad un’evidente frainteso, le due signore sono tutto fuorché malavitose fuorilegge!

“Non avendo opposto resistenza e avendo mostrato ciò che avevo in casa – spiega – ovvero la cannabis light del negozio e tre piantine per la mia terapia, si sono resi conto che non ero una narcotrafficante ma una commerciante che soffre di attacchi d’ansia, di panico e depressione. Ho avuto un piccolo attacco davanti a loro”.

Il sequestro le ha arrecato non poche incombenze, paure, spese, ossia danni psicologici ed economici i quali Beatrice protesta: “Non trovo giusto che ad un commerciante vengano sequestrati i prodotti con cui lavora solo su supposizioni e dubbi. Avevo fatture e analisi di quei prodotti e l’ho fatto presente alle forze dell’ordine. Sarebbe bastato effettuare una campionatura dei prodotti da far analizzare e mettere sotto sequestro momentaneo il tutto fino al risultato. Mi sono trovata, da incensurata, agli arresti domiciliari, perché c’era il Covid, altrimenti mi avrebbero messo in galera, con processo per direttissima. Alla fine hanno solo gettato i soldi dei contribuenti”.

Difatti, il processo per direttissima non è stato svolto in quanto le infiorescenze sequestrate sono risultate dalle analisi con thc 0,2%. Inoltre, le piantine da autoproduzione erano in vegetativa tranne una ed hanno potuto analizzare solo quest’ultima (4,8% di thc).

A Beatrice hanno restituito i soldi in banconote sequestrati, un quantitativo ridicolo per uno spacciatore ma plausibile per un commerciante. Il procedimento è stato infine archiviato e per i 2,2 kg di cannabis light con thc 0,2% è stata disposta la distruzione a cui i legali si stanno opponendo.

 

Come ha influito questa esperienza sulla vita di Beatrice

Sono esperienze che restano sulla pelle, difatti Beatrice si espone ma ha vissuto momenti forti: “A seguito di tutto ciò per circa due mesi facevo fatica ad entrare in casa, mi mettevo a piangere e la sera facevo fatica ad addormentarmi perché pensavo a chi mi avrebbe suonato alla porta il mattino seguente. Sono stata male molto e non avevo nemmeno la terapia perché se l’erano portata via. Mia zia, 86 anni, mi ha aiutata per un paio di mesi ma stiamo parlando di 500/600€ al mese di cure che sono tanti soldi per noi. Nel lavoro ho avuto non pochi problemi. Immaginate di avere un negozio che deve crescere, di aver appena sottoscritto un prestito di 30mila euro, di aver progettato il Natale per cercare di rientrare il più possibile e trovarvi tutti propri beni sotto sequestro. Non solo, immaginate di dover pagare l’avvocato, di dover ricomprare la merce perché quella pagata è stata sequestrata e di non poter organizzare nulla per Dicembre. Senza soldi, ho pianto tutte le mie lacrime”

Il processo: dall’arresto all’archiviazione

L’epilogo è dei più tragicomici: “L’udienza non c’è stata, ho ottenuto l’archiviazione e sono stata agli arresti “solo” 27 ore. Certo che non mi sarei mai aspettata venisse richiesta la distruzione delle infiorescenze soprattutto perché erano nel limite consentito dalle leggi europee e nazionali”. Il prodotto era effettivamente allo 0,2% di THC ben al di sotto sia dei limiti EU per la canapa industriale che a ciò che impone il DPR 309/90, dato che la distribuzione in Italia è ancora come prodotto da collezione.

Il sistema istituzionale italiano: esecutivo, giudiziario e legislativo.

I cittadini italiani spesso non si sentono rappresentati dalle istituzioni, ma men che meno nel settore cannabico, non riconosciuto, non normato, fortemente tassato: “Io non mi riconosco in coloro che ci dovrebbero rappresentare – dice onestamente Beatrice – ovvero la casta politica, perché non ascoltano ciò che gli italiani chiedono. La Magistratura in merito alla Cannabis sta dicendo la sua tutti i giorni perché tutti i giorni, oramai, abbiamo assoluzioni ed archiviazioni. La Magistratura ha capito che lo Stato fa finta di non capire.” Assolti dai giudici, arrestati dalle FFOO, non definiti dai politici, Beatrice si chiede:

“Perché? Perché dare una speranza a chi sta male e a chi vuole crearsi un futuro per poi togliergliela oppure renderla così difficoltosa che preferisci rinunciare. – conclude fatalista – La vita mi ha insegnato a vivere l’oggi anche perché non ho certezze né come commerciante né come italiana. Non mi riconosco più nel paese che amo e che mi ha dato i natali.”

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