Metto mano a questo mio secondo intervento sulle cose di Spagna, quando ormai mi trovo nella coda finale della lunga stagione del Raccolto e del Campo. Delle sue giornate cicliche spese ad accudire e proteggere “bimbe” sgargianti e profumate. A osservare i segni della terra e del cielo, combattendo sovente contro le increspature del cielo. Tendendo l’orecchio al rumore degli uomini. Stretto in quell’ansia ineffabile definita dal pionere Karulo Abellan “il limbo del cannabicoltore”: da un lato soggetto all’orrido maglio del proibizionismo, e dei suoi scherani in divisa; dall’altro, e ancor pù mortificante, esposto senza difese legali alla piaga diffusissima dei predoni di piante.
Giornate che non sembrano mai passare, sospese e ipnotiche. Fino alla schiusa dei doni e alla sua allegria, fatta di alchimie di cannabinoidi e terpeni. Fino alla gioia silenziosa del Raccolto, che tutto ricomprende, e assolve.
Qui in Spagna, questa mia breve testimonianza è una semplice goccia nel mare. Un mare fatto da una moltitudine vastissima di uomini e donne che coltivano cannabis, e che così facendo rompono il taboo.
Nel primo contributo ospitato sul numero 0 della rivista ho cercato di chiarire un aspetto essenziale: in Spagna è tuttora reato coltivare marijuana. Nonostante per via giurisprudenziale si sia affermata l’ipotesi di coltivazione per fini personali -in nessun momento, ricordo, prevista e normata dal codice-, le forze dell’ordine, di fronte all’evidenza, sempre intervengono. Di più, con ben minore enfasi e dispiego di forze che in Italia, anche qui le estati sono solcate da elicotteri e camionette che, soprattutto nello sterminato entroterra, inseguono senza sosta i fantasmi del proibizionismo. Con il corollario ovvio degli articoli di stampa locale. E senza dimenticare che la recente “Ley Mordaza”, nelle sue varie pieghe liberticide, ha trasformato in illecito amministrativo, sanzionato con severe multe, qualsiasi auto coltivo visibile da terzi.
Cionondimeno, non si capirebbe a pieno l’avanguardia spagnola senza avere chiaro che dietro la luce sfavillante dei Cannabis Social Club, il fenomeno più visibile e conosciuto della Spagna cannabica,vi sta dell’altro. Accanto all’associazionismo, ai cortei, atti, convegni, articoli, lobbing istituzionale, capaci di mobilitare comunque sia solo una piccola parte della cannabis society spagnola; accanto alla “teoria”, la vera forza trainante del movimento è data proprio da questa enorme massa di “agenti coltivatori”, che in modo spesso spontaneista piantano diritti, affermano identità, e cambiano le regole del gioco.
Senza mettere a fuoco questo fenomeno sociale ed economico di amplissime dimensioni ogni tentativo di comprensione rimarrebbe mozzo.
La Spagna è il granaio, pardon, il canapaio d’Europa, non ci si lasci ingannare dalle lucciole del narcotraffico in Albania. E’ notorio, ad esempio, che gran parte dei fiori dei coffee shop olandesi è di provenienza spagnola. Così come i semi dei banchi di mezzo mondo.
In aperta montagna, valli, campi, serre, navi industriali, terrazze, case: una febbre che pare inarrestabile e che contagia sempre più persone, di tutte le età ed estrazioni sociali. I numeri sono esorbitanti. Ancorché, assai curioso, non esistano studi nè dati ufficiali, in Spagna si stimano
prudenzialmente almeno 250.000 coltivatori ricorrenti e ben oltre il milione se ci riferiamo agli episodici. Sono in attività ben più di mille growshop. La Spagna è il piu grande mercato mondiale di semi. Qui sono nati e continuano a nascere centinaia di banchi di semenze e imprese collegate: un’industria fiorentissima che mobilita decine di migliaia di addetti e che trova nella gigantesca fiera Spannabis di Barcellona la sua massima espressione. Le fiere specializzate sono però numerosissime, spalmate sull’intero territorio nazionale e calendario.Così come le coppe cannabiche, vere e proprie feste del coltivatore e magnifiche occasioni di raduno.
Se si guarda con attenzione, infine, la figura del Cannabicoltore si staglia per ciò che è: l’architrave del sistema cannabico spagnolo.
Come si spiega un fenomeno di tale portata?
Da un lato, certamente, vi è minor il “panico sociale” generato dalla questione cannabis, e droghe in generale, all’interno della società spagnola. In Spagna già il 52% della popolazione è a favore della legalizzazione, secondo recenti sondaggi. Una società tuttora non pienamente emancipata, e con alcune sacche di resistenza, ma caratterizzata comunque di un incomparabile livello di maturità e civiltà rispetto a quella italiana.
Che producono una minore repressione sociale e poliziesca, e previsioni di pena per i coltivatori assai piu ragionevoli che in Italia, e modulate secondo quantità esatte. E certamente, causa ed effetto è quella breccia giurisprudenziale, più volte citata, che di fatto ha legittimato l’auto coltivo.
Questa differenza spagnola si spiega con la storia stessa del paese e la sua antica cultura cannabica. Fino a Franco e agli anni ’70 la Spagna era riconosciuta ufficialmente come il canapaio mondiale: coltivazioni industriali e tradizionali a perdita d’occhio, e un radicamento ostinato nella cultura popolare contadina, con il “canuto de las risas” (sigaro dell’allegria) che è una costante degli aneddoti campesini. Sommiamo poi il carattere rurale della Spagna, e la difficoltà oggettiva del controllo del territorio. E la separazione con il mondo esterno causata dalla dittatura, e che in una curiosa eterogenesi dei fini tenne la Spagna al riparo, almeno fino agli anni ’80, dall’isteria della War on Drugs. Per i piu curiosi, cercatevi le clip anni ’70 di due vecchie icone pop come il Fari con la sua “Mandanga” e Micky “En el rollo està la soluciòn”. Più esplicative di mille articoli.
E infine, dagli anni ’90, ecco l’irruzione della moderna cultura cannabica, inizialmente mutuata proprio da quei maestri olandesi che si videro poi superati dagli allievi iberici. I primi viaggi alle coppe cannabiche di Amsterdam e gli incontri con i grandi coltivatori, i primi semi di qualità introdotti brevi manu o per corrispondenza. Data infine aprile 1999, quando il già menzionato pionere cannabico Karulo Abellan apre a Barcellona il primo growshop dove si possono acquistare legalmente i semi di marijuana dei grandi banchi olandesi. Da quel momento, inizia una slavina che muterà per sempre il panorama barcellonese e spagnolo e che svilupperà una delle culture cannabiche più raffinate e conosciute al mondo.
Nelle parole dello stesso Karulo “L’apertura de L’Interior BCN GrowShop con la dimostrazione che la compravendita di semi era legale credo fu il passo più importante dato dall’attivismo cannabico spagnolo per conseguire una reale indipendenza dal mercato nero e dalle mafie dell’hashish, adulterato e di pessima qualità e che tanto abbondava in quei tempi… L’autocoltivo di marijuana divenne finalmente realtà nel nostro paese grazie alla possibilità di comprare semi di eccellenti genetiche senza dove passare per frontiere e dogane di paesi dove i semi sono vietati, come Germania, Francia, e Belgio. Inoltre, l’inizio della vendita di semi nel L’Interior rappresentò il “pistoletazo de salida” (Ndr sparo d’inizio) per l’apertura di migliaia di negozi che seguirono il modello di Growshop, dando inizio alla grande industria cannabica attuale che ruota attorno ai semi e alla coltivazione”
Ma cosa vuol dire nella sua essenza essere cannabicoltore?
Ci aiuta a comprenderlo meglio Miguel Gimeno, grande coltivatore organico, presentatore della benemerita Marihuana Tv e riferimento vero della società cannabica e dei grower spagnoli:
“Essere cannabicoltore significa essere un lottatore per la libertà. Significa autosufficienza e lotta continua. Significa essere sostenibili, ecologici e contro il narcotraffico. E la cosa più bella è che creiamo vita, aria pulita e aiutiamo a decontaminare gli ecosistemi. Sii cannabicoltore e non venderti al narcotraffico!”
Chiosando le parole di Miguel sulla sostenibilità degli ecosistemi, una delle tante lezioni apprese coltivando è il chiarissimo trade-off fra quantità e qualità, e salubrità del prodotto. E non solo per la relazione speciale che si stringe tra grower e piante. Il punto è la salute: soltanto piccole/medie piantagioni possono sostenersi senza l’uso di pesticidi e prodotti chimici. La marijuana sana e salubre è totalmente incompatibile con le piantagioni industriali. In questo senso, la Prop. 64 appena approvata in California rappresenta quello che è già stato definito come lo standard aureo delle proposte di regolazione, affermando esattamente il modello delle piantagioni medio/piccole, le “family farm” così diffuse nel Golden State.
Leggo invece con inquietudine della piega monopolistica, corredata da divieto di autocoltivo, che ha preso il dibattito in Italia. Qualsiasi monopolio o oligopolio sulla marijuana sono destinati al fallimento, così come modelli perniciosi basati sull’industria del tabacco. Chi li propone e difende semplicemente disconosce, e malamente, la materia. E sono ipotesi fallimentari sia per le ragioni legate alla tutela della salute pubblica sovraesposte; sia per la natura straordinariamente cangiante della cannabis, la sua incredibile biodiversità che si traduce in infinite combinazioni organolettiche e biochimiche. Irriducibili allo logica del tabacchino.
Ci ritroviamo nella linea espressa dallo stesso editoriale d’inaugurazione di Be Leaf: se si deve guardare a un modello esistente, che si guardi al mondo vinicolo e alla sua regolamentazione, e trarre esempio dalle esperienze virtuose di Spagna, Stati Uniti e Uruguay. Tenendo ferma la barra sul diritto all’auto coltivo, il vero pilastro da cui deve discendere qualsiasi ipotesi di regolamentazione. Mi piace chiudere con le parole che il grande e indimenticato compañero Joep Oomen condivise con Assonabis.com:
“Non possiamo dormire tranquilli fino a quando non sarà assicurato il diritto all’auto coltivazione delle piante che ciascuno desideri per il proprio uso personale… Vogliamo dichiarare alla società che coltivare una qualsiasi pianta naturale per uso personale dovrebbe essere un diritto umano incontestabile.”
(Si ringraziano per la collaborazione Karulo Abellan, Miguel Gimeno, Nacho Vidal (Hortitec), Alejo Alberdi, Pablo Biohazard)
Pubblicato originalmente in BeLeaf 1 dicembre 2016