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HomeCannabisMaxi sequestro di cannabis light, parlano i titolari delle aziende colpite

Maxi sequestro di cannabis light, parlano i titolari delle aziende colpite

Più si leggono i particolari di questa storia e più si rimane allibiti. Perché l’operazione di polizia condotta dai Militari del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Taranto nei confronti di 48 esercizi che commercializzano derivati della “canapa sativa”, non è solo una stretta sulla ‘cannabis light’ ma sta assumendo i contorni di una vera e propria spedizione punitiva.

Anche il nome del blitz “Affari in Fumo” non nasconde quello che sembra essere l’obiettivo finale: danneggiare economicamente i piccoli produttori di canapa, un business in crescita che coinvolge sopratutto giovani e giovanissimi che nel mondo della canapa hanno trovato lo loro strada.

Tutto è partito dalle segnalazioni di alcuni genitori di Taranto che hanno chiesto di fare chiarezza sulla presenza di alcuni distributori automatici “H24” di cannabis light posti nelle vicinanze di due scuole. Secondo le analisi della Guardia di Finanza in questo esercizio commerciale erano vendute sostanze con un livello di Thc superiore a quello consentito dalla legge 242 del 2016. Da qui l’indagine si è estesa a macchia d’olio in tutta Italia coinvolgendo i negozi che avevano acquistato, o che avevano venduto, prodotti dal fornitore pugliese sotto accusa. Alla fine saranno 48 gli operatori commerciali destinatari del provvedimento di perquisizione e sequestro: 39 nella Provincia di Taranto e altre 9 in Campania, Calabria, Lazio e Lombardia.

Fra questi anche Simona, una dei fondatori di WeedShop, negozio conosciutissimo a Roma. Ha 24 anni e con il soldi messi da parte facendo la cameriera nel giro di poco è riuscita a mettere su un esercizio che funziona e che dà lavoro a 4 dipendenti. Pochi giorni fa, però, ha visto i suoi sogni andare in frantumi. Più di altri, a lei è stato riservato un trattamento molto aggressivo: oltre al sequestro della merce in vendita (circa 6 kg di cannabis light) sono stati sequestrati anche tutti i prodotti di oggettistica, olii e accessori come accendini o cartine. Ma anche materiale per l’allestimento delle fiere a cui periodicamente partecipa e riviste di settore (anche Beleaf è stata portata via). Ma purtroppo non è il solo danno: l’attività è stata chiusa, così come il negozio e il magazzino. Un danno incalcolabile e che fa rabbia. Perché nulla in quel negozio è illegale. “Io ho acquistato sempre merce che che ha tutti i cartellini in regola, non ho mai acquistato cannabis in Svizzera e tutta quella che viene dall’estero è certificata e rispetta i limiti di legge” ci dice Simona. Eppure le viene contestato la “produzione e il traffico illecito si sostanze stupefacenti o psicotrope” così come recita l’articolo 73 della legge Iervolino e il “concorso in reato” secondo l’articolo 110 del Codice penale.

Sbigottito anche Alberto, uno dei tre soci di Call the Dealer, altro player molto conosciuto nel mercato. “E’ un attacco politico – ci spiega – noi ci siamo sempre mossi nella piena legalità, fatturiamo tutto quello che vendiamo, paghiamo fino all’ultimo centesimo di tasse. E invece di colpire chi spaccia, colpiscono noi. E’ incredibile. Per fortuna, a differenza di altri, noi avevamo il magazzino praticamente vuoto, quindi il danno che abbiamo subito è minimo. Ma ora occorre fare chiarezza, perché così non sappiamo neppure se possiamo riprendere la nostra attività, che dà lavoro a un sacco di persone, a cominciare dai coltivatori. Stiamo parlando di tre famiglie, a cui vanno aggiunte 22-23 persone che lavorano nella filiera. La nostra unica colpa, evidentemente, è quella di non aver mai fatto nulla di illegale“.

Come è possibile tutto questo? A sentire il Procuratore della Repubblica di Taranto, Carlo Maria Capristo, che ha coordinato le indagini, la questione è chiara: in Italia si può coltivare canapa ma non si può vendere, sopratutto per uso alimentare. Una contraddizione in essere perché se non si può commercializzare viene meno anche il motivo per cui coltivare una coltura così diffusa sul nostro territorio. Il Procuratore insiste sul fatto che non esiste cannabis light e che tutto ciò che deriva dalla canapa è una sostanza stupefacente a prescindere dal livello di Thc rilevato. Una interpretazione limitata che non trova riscontri nella giurisprudenza attuale e che, se confermata, provocherebbe dei precedenti catastrofici per tutti i negozi di cannabis light in Italia.

I soggetti interessati non sono disposti a farsi calpestare così e si stanno, ovviamente, cautelando dal punto di vista legale. Abbiamo contattato l’avvocato penalista Nicola Capozzoli, consulente legale di Call the Dealer e dell’Aical (Associazione Italiana Cannabis Light), che ci spiega come “questa vicenda vada al di là della legge 242 del 2016, dato che viene contestata una violazione dell’articolo 73 del D.P.R. in tema di stupefacenti risalente al 1990”. Quindi, come detto, il tema va oltre la zona grigia della legge 242. “I provvedimenti – garantisce l’avvocato – sono suscettibili di essere impugnati. Ci sono decenni di giurisprudenza e la questione si risolve nella corretta applicazione della legge sugli stupefacenti“.

Per farla breve: si contesta ai commercianti la vendita in sé di prodotti a base di canapa, considerata a prescindere uno stupefacente. Un gran pasticcio, insomma. A cui, speriamo, si possa riparare nel più breve tempo possibile. Sia a livello giuridico, sia, soprattutto, a livello politico. C’è bisogno di chiarezza e solo un percorso serio verso la legalizzazione, come è successo e sta succedendo in molti Paesi del mondo, può risolvere definitivamente una situazione che sta diventando sempre più paradossale.

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