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La direttiva del Viminale: più controlli ma nessuna chiusura

Dopo i deliri Matteo Salvini sulla minaccia di chiudere tutti i canapa shop alla fine arriva una direttiva dal ministero dell’Interno che non dispone alcuno stop generalizzato. Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire. Perché una cosa fortunatamente appare chiara: non si possono chiudere migliaia di negozi per pura propaganda elettorale, quella che sta evidentemente facendo il leader leghista con le sue dichiarazioni anacronistiche.

Anche se un fatto rimane, il gettare fango e paura sopra un settore in crescita che non fa alcun danno, a dispetto di quanto dicono dal Carroccio.

La direttiva, che potete leggere integralmente qui, presenta peraltro alcuni controsensi, tali – a nostro giudizio – da farne decadere la validità e l’autorevolezza. Parla di “vigilare” sulla vendita illegale di derivati e infiorescenze della canapa, “impropriamente pubblicizzata come consentita dalla legge n. 242/2016”. E fin qui avrebbe anche una logica.

Poi comincia a dire che tra le finalità della coltivazione della canapa industriale “non è compresa la produzione e la vendita al pubblico delle infiorescenze” (perché mai bisognerebbe produrle, allora?). Ma sappiamo purtroppo come anche questo aspetto risulti poco attaccabile, visto il vuoto normativo legato che c’è sulla commercializzazione.

Poi arriva l’anomalia, ovvero il motivo per cui non si potrebbero commercializzare le inflorescenze: si parla di “quantità significative da un punto di vista psicotropo e stupefacente”.

Ovvero, è droga. E a giustificare una tesi così bizzarra si citano tre sentenze, tutte risalenti a oltre 6 anni fa (una addirittura del 2008), sostenendo che i livelli di principio attivo “mettono in pericolo la salute dell’assuntore”. Peccato però che in quelle sentenze non si parli di limite sotto lo 0,6 di thc, visto che sono state emesse in un “era” diversa (10 anni fa).

Tutto questo, purtroppo, non fa altro che evidenziare come il governo sia con lo sguardo rivolto all’indietro e come continui a parlare di droghe in maniera generalizzata, evocando ancora l’assurdo concetto per cui si parte con una canna e si arriva alla siringa.

Non resta dunque che aspettare l’importantissima sentenza del 30 maggio per mettere fine a questo scempio e riempire finalmente quel vuoto normativo che tanto terrorizza (in maniera subdola) l’attività di migliaia di imprenditori. Sarà ancora una volta la magistratura a mettere ordine dove la politica non riesce, come è già accaduto diverse volte nel nostro Paese. Con la speranza che riesca davvero a dare respiro (e spinta) a un settore che scalpita. D’altra parte si tratterebbe di semplice buon senso.

Nella Direttiva di quattro pagine si parla poi di uno screening sui territori dei negozi destinati alla vendita di canapa: “dovrà essere innanzitutto disposta una puntuale ricognizione di tutti gli esercizi e le rivendite presenti sul territorio, in condivisione con le Amministrazioni comunali ed attraverso il concorso dei rispettivi Comandi di Polizia locale e degli Sportelli deputati al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative“. Nei controlli, si legge ancora nella direttiva del ministero degli Interni, “una cura particolare dovrà riguardare la verifica del possesso delle certificazioni su igiene, agibilità, impiantistica, urbanistica e sicurezza, richieste dalla legge per poter operare”.

Novità rilevante, invece, riguarda la localizzazione degli esercizi commerciali, “con riferimento alla presenza nelle vicinanze di luoghi sensibili quanto al rischio di consumo delle sostanze, come le scuole, gli ospedali, i centri sportivi, i parchi giochi, e, più in generale, i luoghi affollati e di maggiore aggregazione, soprattutto giovanile“. Viene sottolineato che “le preminenti ragioni della tutela della salute e dell’ordine pubblico messe in pericolo dalla circolazione di siffatte sostanze dovranno, altresì, essere segnalate agli enti locali affinché le tengano in debita considerazione in relazione alle possibili nuove aperture di simili esercizi commerciali, prevedendo una distanza minima di almeno cinquecento metri dai luoghi considerati a maggior rischio”.

Infine si dispone una “ricognizione” dei canapa shop da valutare attraverso i Comitati provinciali della sicurezza.

Insomma, paletti più stretti e maggiori controlli, ma per il momento nessuna chiusura.

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