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Quel viaggio in India che ti ‘ruba’ l’anima

Un misto d’incenso, fiori, aria calda, smog, frutta fresca, un sentore di polvere che entra dalle narici e investe l’anima. Lo ricordano per sempre il cervello e il cuore. Chi l’ha conosciuto non lo scorda più.

E’ ciò che s’avverte appena si spalancano le finestre del proprio appartamento nell’ashram di Sathya Sai Baba a Puttaparthi. Un villaggio dell’Andra Pradesh nel sud dell’India. Un posto ineguagliabile a nessun altro, perché le cose che succedono, l’energia che s’avverte, gli incontri che si fanno, rendono questo luogo di devozione unico nel suo genere.

Per arrivarci occorrono nove ore di volo dall’Italia (più uno scalo a Dubai nel mio caso) e tre ore d’auto dall’aeroporto internazionale di Bangalore nel vicino stato del Karnataka.

La strada è per metà asfaltata per cui i sobbalzi, dopo un po’ non si contano più. Si passa attraverso innumerevoli villaggi scarni di abitazioni e pieni di lucine. Si vedono persone a tutte le ore della notte, le donne, per esempio, con la loro cesta di fiori o frutta sulla testa devono percorrere molti chilometri prima di raggiungere il mercato dove, sedute per terra, venderanno la merce per poche rupie tutto il santo giorno senza sosta, sotto la calura nei mesi estivi o con un minimo di refrigerio nelle stagioni meno secche.

Ma si vedono anche enormi camion, colorati e impolverati, stracolmi di merci, pullman carichi di cose e persone stipate che vanno chissà dove.

Nell’ashram (vuol dire comunità), i visitatori vengono ospitati in stanze poco adorne con bagno. Ci si accontenta. Chi va là, non va in vacanza, va in pellegrinaggio, va a “conoscere” Swami come viene chiamato Sai Baba. Guru, maestro di vita, autore di libri che ha fatto tanto per il suo popolo. Ha lasciato il corpo nel 2011, ma Lui è ancora là. Fra i suoi devoti. Provenienti da ogni parte del mondo.

Ci sono tre mense che offrono ottimi pasti: con un euro si mangia dall’antipasto al dolce. Poi sparsi per i grandi giardini smeraldini, curatissimi ci sono bancarelle di cocco, bibite e gelati. Si può mangiare tutto tranquillamente. Fuori no. Massima allerta. C’è anche un supermercato, pulito, dove si possono acquistare cibi in scatola, riso, bevande fresche, thè, caffè, incensi, i buonissimi biscotti “Good day”, medicine ayurvediche e al piano superiore abiti, stoffe, punjabi, sari. Al mattino è aperto per le donne, al pomeriggio per gli uomini. Ma per qualunque necessità si può uscire e lungo la main road ci sono negozi di tutti i tipi.

La vita scorre con un ritmo diverso: i pensieri fluttuano e c’è pace nel cuore. Si passeggia, si medita, non c’è traffico veicolare all’interno. Una risata scappa a tutti nel vedere le scimmie rincorrersi da un ramo all’altro.

La mattina si odono dagli altoparlanti i Veda, gli antichissimi testi della scienza indiani, seguiti dai bhajans, i canti devozionali. Si possono ascoltare nel mandir, il luogo dove Baba salutava i devoti passeggiando in mezzo a loro, raccogliendo lettere scritte in tutte le lingue, di cui Lui già sapeva il contenuto e distribuiva vibhutim, cenere sacra che scaturiva dalle sue mani, oppure dalle panchine immerse nel verde.

L’aria è surreale, fa caldo, ma si sopporta.

Si vedono persone di tutte le razze, di tutti i culti. I bimbi indiani sono proprio simpatici, ti chiedono mille volte “How are you?” o “What’s your name?”; e sorridono, sempre, anche se indossano pochi stracci e sguazzano scalzi nelle pozzanghere.

All’esterno uscendo dalla porta principale “Ganesha gate” si può visitare il villaggio ci sono shop, internet cafè, una farmacia e tre musei.

Una favolosa costruzione è l’università e gli studenti la frequentano gratuitamente. Così come curarsi presso l’ospedale è gratuito e ci lavorano diversi medici italiani.

C’è il planetarium e il luogo dov’è sepolta Sai Gita, l’elefantessa di Baba.

Nell’ashram ci sono restrizioni alimentari (non si possono introdurre uova), è vietato fumare e alle 21 i cancelli chiudono. C’è un’esigente vigilanza notturna. Non si può girare, per una questione di sicurezza. La notte è degli animali: serpenti, rapaci… Al ritorno, nel bagaglio si avrà un carico d’esperienze che renderà senz’altro migliori. Con un senso di smarrimento che vi accompagnerà per giorni e la causa non sarà soltanto il jet-lag. L’India vissuta dal punto di vista spirituale ti “ruba” l’anima, la prova è che ne parli, ne parli, ne parli sempre e allora hai la certezza che l’anima è rimasta là.

Le soluzioni sono due: o mandare uno sciamano a riprenderla o “riportarle” il corpo affinché i due elementi si riuniscano.

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