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Seattle semina la pace

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Seattle semina la pace

Sono numerose le fiere sulla canapa che si promuovono in Italia e nel mondo, ma sono soltanto due i festival dedicati alla cultura “verde”. Uno si svolge a Nimbini in Australia (v. Beleaf n. 27, gennaio 2022, p. 50) e l’altro a Seattle (Usa). Quest’ultimo si chiama Hempfest ed è addirittura un marchio registrato.

Debutta nel 1991 col nome di “Washington Hemp Expo” a cui prendono parte 500 persone mal contate, era impossibile prevedere allora, che sarebbe diventata una manifestazione che oggi costa oltre mezzo milione di dollari e genera 8 milioni di dollari d’impatto economico all’anno.

Hempfest è in primis un’organizzazione finanziata dalla comunità e gestita interamente da volontari. Nessuno viene pagato e tutti possono prodigarsi nell’allestimento del raduno. Ci si può candidare attraverso il sito e le attività da svolgere vanno: dall’ospitalità al dietro le quinte, dalla costruzione dei palchi alla sicurezza, dalla gestione degli stand informativi alle cucine. Cercano interpreti di lingua dei segni e medici per il primo soccorso. È un’opportunità che rimarrà indelebile nella memoria e nel cuore dei partecipanti.

Si svolge sempre il terzo fine settimana di agosto presso il Myrtle Edwards Park, fra prati e spiagge, fronte oceano. Siamo nello stato di Washigton a 13 ore di volo dall’Italia.

Tutto è iniziato come un umile incontro con qualcuno che strimpellava una chitarra, tanto per creare atmosfera. Oggi è uno degli eventi di riforma della politica sulla cannabis più sofisticati al mondo. 

Nel 1992 gli organizzatori hanno collocato due grandi piante di sinsemilla in erba nel piccolo anfiteatro del Volunteer Park. Le basi, è il caso di dirlo, erano state piantate.

L’edizione del 1993 ha portato 5.000 sostenitori. Man mano che il fenomeno musicale migliorava, anche la regia migliorava. “I primi festival presentavano band di Seattle come: Stickerbush, Ganja Farmers, Dandylion Soup e Bam Bam” dicono i promotori, “la manifestazione stava crescendo allo stesso ritmo della crescente consapevolezza pubblica delle mezze verità, bugie e disinformazione generate dalla guerra all’erba per oltre 60 anni, ed è diventato evidente che avremmo dovuto trovare un sito più grande perché Volunteer Park non poteva contenere tutti i visitatori”.

L’anno dopo si sono infatti trasferiti nel bellissimo Gasworks Park, un ex sito di produzione di petrolio con enormi torri e ciminiere ancora in piedi, ironico, per un festival che promuove fonti di energia alternative. Col passare degli anni l’appuntamento estivo è diventato sempre più famoso e ha attirato sempre più estimatori da ogni parte del globo. 

Di edizione in edizione cresceva in modo esponenziale in termini di dimensioni e notorietà, ma aumentavano anche i costi di produzione e promozione. La necessità di apparecchiature audio, palcoscenici, impalcature, radio e la pubblicità ha richiesto l’aiuto di sostenitori privati per compensare le cifre del fenomeno in crescita. Famosi club della città hanno contribuito per sostenere la causa e centinaia di band del Northwest hanno suonato gratuitamente. 

Sì, perché al centro dell’happening c’è la musica. E non poteva essere diversamente, visto che Seattle è la città natale di Jimi Hendrix e dei gruppi musicali come i Nirvana e i Pearl Jam. E il fatto di puntare sulle energie rinnovabili, per il suo funzionamento, deriva dal fatto che la città è  soprannominata “Emerald City” (città smeraldo), per via dei suoi lussureggianti alberi sempreverdi che costellano le varie aree metropolitane. È una città che punta ad essere “green” il più possibile.

Ed Hempfest si adegua alle regole comunitarie.

Non vogliono dare l’impressione di essere degli egoisti o, peggio dei menefreghisti, lo dimostra il fatto che nei giorni successivi alla festa, i volontari si fermano per ripulire tutto, nonostante i musicisti abbiano lasciato la scena già da un po’.

L’immagine che vogliono restituire al pubblico e, alla politica, è quella di essere un evento pulito, genuino, adatto ai giovani e meno giovani, con gente che vuole divertirsi, ballare fino a notte fonda, dove si ha voglia di esagerare solo un po’ con un abbigliamento colorato e fantasioso, dove la tanto amata fogliolina capeggia ben in vista su cappellini e magliette. Un festival in cui si desidera far comprendere che la canapa serve a chi è malato e che le cure devono essere fruibili a tutti. 

Infatti, proseguendo con la storia, si evince dal sito, che nel 2016 l’adunata ha festeggiato il 25° anniversario ed è stata l’occasione per presentare i 25 obiettivi della manifestazione. Tra questi: rilascio di tutti i criminali non violenti di cannabis a livello nazionale, tutela dell’uguaglianza per i consumatori di cannabis, uguaglianza nella pubblicità, nella sponsorizzazione e nella promozione delle attività legate alla cannabis, produzione legale di canapa industriale nazionale, una suddivisione in zone equa e ragionevole per le imprese. 

La diffusione di questi obiettivi avviene puntando sulla qualità dell’evento che si presenta agli occhi del visitatore con ben quattro palchi di musica di livello mondiale, con oltre 400 bancarelle fra artigianato e gastronomia, stand per parlare di politica e tavole rotonde con relatori e workshop. Hempfest richiede oltre 50 team per mettere in piedi tutto questo.

Il Seattle Hempfest ha lo scopo di assicurare la cannabis alle persone malate, punta sulla produzione nazionale legale di canapa industriale e cerca alternative all’incarcerazione per adulti condannati per reati di marijuana.

L’obiettivo della rassegna è che la cannabis sia regolamentata come l’alcol, che gli adulti che la usano responsabilmente non siano trattati come criminali e che, i delinquenti non violenti per droga ricevano un trattamento alternativo alla detenzione.

Infatti, per lo Stato di Washington è un reato federale produrre, vendere o possedere marijuana; a dicembre 2012, è stata approvata una legge (I-502) che consente agli adulti di età superiore ai 21 anni di acquistare fino a un’oncia di erba (l’equivalente di 28 grammi), 16 once di prodotti a base di marijuana in forma solida (448 grammi), 72 once di oli a base di cannabis o fino a sette grammi di estratto o concentrato di marijuana, per uso ricreativo. “Il proibizionismo non è finito!”. Urlano dal palco. Le persone continuano ad andare in prigione.

La legge federale dice che la marijuana è un narcotico di Categoria I, come l’eroina. Ci sono almeno 50 detenuti che stanno scontando de facto ergastoli, condanne senza possibilità di libertà condizionale. In un Paese dove oltre 3 milioni di persone consumano quotidianamente cannabis e 750.000 di loro vengono arrestate ogni anno.

Per questo è stata fondata “The Human Solution”, un gruppo di supporto, senza scopo di lucro che aiuta gli imputati, fornisce educazione alla comunità sulla canapa e crede nel sostegno dei tribunali. “Se potessimo riempire le aule di giustizia, daremmo alla giuria la sensazione che qualcosa non va bene. Dicono i promotori. Dobbiamo istruire i giurati prima che entrino in aula e ricordare loro di  non lasciare la coscienza alla porta”.

L’ente non-profit è a conoscenza di 150 persone che stanno scontando lunghe condanne per consumo di cannabis. Le carceri non sono attrezzate per prendersi cura degli ammalati e degli anziani. “Abbiamo molti detenuti che soffrono in questo momento, vivono in minuscole celle e se vengono messi in isolamento (come Luke Scarmazzo, una badante liberata dopo 14 anni), gli tolgono i basilari diritti, quali: telefonate, visite, mail. Sono trattati come schiavi e costretti a lavorare per pochi centesimi l’ora”, concludono. Se il proibizionismo non finisce, subiranno una morte solitaria, assai dolorosa, in galera.

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