Il Museo etnografico intitolato al naturalista, musicista ed etnografo Giovanni Podenzana (1864-1943), è ospitato nell’ex oratorio quattrocentesco di San Bernardino da Siena, nel centro de La Spezia. In esposizione ci sono oltre 3500 oggetti raccolti tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento riguardanti le comunità liguri, ma anche extra europee. È considerato uno dei più importanti d’Italia per tipologia e varietà di materiali, propone al pubblico un rinnovato percorso espositivo, una visione sintetica, ma documentata della società rurale della Lunigiana in particolare, delle sue tradizioni orali, delle ritualità magico-protettive e del suo abbigliamento, approfondito attraverso un’importante sezione dedicata ai costumi e alla tessitura al telaio.
Il museo spezzino vi farà scoprire l’artigianato e le usanze delle comunità che abitavano nella Val di Vara e nella Val di Magra.
La collezione si è formata con gli oggetti raccolti da Podenzana durante i suoi viaggi in Oceania, America e Giappone. Altri sono stati donati da missionari, militari, collezionisti ed enti.
La parte dedicata alle tradizioni e alle ritualità popolari, comincia a formarsi alla fine dell’800, grazie alle ricerche sul campo di Giovanni Podenzana e alle donazioni di storici locali, ci sono oggetti d’uso quotidiano, costumi, oreficerie, armi da fuoco e vestiario appartenuto ai Mille di Giuseppe Garibaldi.
Quest’area espositiva fa conoscere la memoria e il folklore delle comunità liguri. La quotidianità dei tessitori della Lunigiana nel dettaglio.
Le rimanenti aree sono incentrate su utensili legati all’agricoltura, sugli strumenti per la filatura e la tessitura. Da evidenziare la parte dedicata ai gioielli in filigrana d’oro e agli abiti ottocenteschi, realizzati con la tipica stoffa di colore azzurro, antenata dell’attuale tela jeans.
Sarà curioso scoprire gli oggetti legati alla sfera della superstizione e delle credenze diffuse nella Lunigiana.
I tessuti del comune di Valdipino erano noti in tutta la Liguria. È una frazione del Riccò del Golfo di La Spezia, che fa parte della Comunità Montana della Media e Bassa Val di Vara.
La Val di Vara è una delle principali vallate della provincia della Spezia. Prende il nome dal Vara, un fiume che nasce dal Monte Zatta (1404 m slm), e percorre circa 58 km, per poi versarsi nel Magra. Il paesaggio della Val di Vara, spazia dal tipico ambiente mediterraneo caratterizzato da vigneti e uliveti, fino al suggestivo inasprirsi delle zone montane, lungo i torrenti e i crinali della valle.
Una delle maggiori fonti di reddito della popolazione era la tessitura; qui si lavoravano la canapa e la lana ai telai che, ogni famiglia possedeva. Intorno al 1840 nel territorio genovese si contavano 339 fabbriche con 14.464 telai e 15.921 operai. A tal numero vanno aggiunti i tessitori di Chiavari, Rapallo che lavoravano in casa e tessevano tele blu o rosse, caroline o fustagni e tele di canapa.
La canapa di Valdipino era rivale per qualità con quella della Romagna e della Russia.
Nella seconda metà del 1700 le donne della valle crearono una tela di nome Budana; questa veniva realizzata con un intreccio dritto con ordito di canapa e trama in cotone tinto di blu, alternato anch’esso con la canapa.
Questa stoffa veniva poi tinteggiata in blu, colore ricavato dall’indaco; questo proveniva dalla città di Genova che lo importava dalle colonie, in quanto sarebbe stato molto costoso produrlo localmente.
Pur tuttavia per questa colorazione veniva inizialmente utilizzata una pianta chiamata “isathis tinctoria”, conosciuta più comunemente col nome di “guado”.
Sino al 1900 i telai produssero, oltre alla Budana, una mezzalana detta Bisogna; questa era composta per l’ordito di canapa e per la trama di canapa e lana.
Inoltre facendo “sposare”, come solo le donne della valle sapevano fare, il fustagno con armature diagonali e il cotone color blu indaco, si realizzò la tela del Jeans (quella che indossiamo oggi).
L’abbigliamento degli uomini era composto da camicia, gilet, una fascia sulla vita e calzoni chiusi con pattina. Berretto di panno rosso e nero dove venivano conservate monete, pipa e tabacco.
L’abbigliamento femminile era, invece, molto più elaborato: una camicia che in dialetto si chiama camisa, era di canapa e veniva filata e tessuta in paese, era allacciata con due pezzi di cordoncino bianco. Attorno al collo vi era un largo collare di mussola bianca che in dialetto viene chiamato zabò. La gonna chiamata gonèla era di canapa e cotone: la cosiddetta Budana. Il nome di questo celebre indumento deriva dal suo ordito di colore blu.
Esso veniva sottoposto a “scardassamento”, (sfregato con un cardo secco fino a far “filamentare” il cotone) per fargli avere un leggero strato lanuginoso.
Per quel che riguarda il tessuto, invece, molto probabilmente il denim è un parente stretto del fustagno, un tessuto che veniva riservato a chi doveva eseguire lavori di fatica.
Se vogliamo andare alla ricerca di una provenienza geografica, la storia del jeans ci porta a Genova e dintorni. Anche se le teorie che stanno dietro alla nascita di questi pantaloni sono innumerevoli. Uno dei motivi che ci fa eleggere Genova come possibile patria del jeans è anche la grande tradizione tessile di tutta la Liguria, tradizione conosciuta e rinomata fin dai tempi più antichi.
La Liguria, infatti, è sempre stata una grande esportatrice di manufatti tessili di grande fama, come il damasco di Lorsica o il velluto di Zoagli. Certo è, che il fatto che i jeans siano realizzati con una tela blu, può avere qualche collegamento con un tipo di fustagno che veniva realizzato a Chieri (To) e usato, nel corso del XV secolo, per coprire le merci, le chiglie delle navi e le vele che venivano lasciate in porto. Chi sostiene questa tesi sostiene anche che il termine blue jeans sarebbe una derivazione di “bleu de Gênes”, un’espressione che in francese vuol dire: blu di Genova.
Ancora, tra gli studiosi di storia del jeans c’è chi appoggia l’ipotesi secondo cui i jeans deriverebbero dal bordatto della Liguria, un tessuto che, come gli altri, era ampiamente impiegato per confezionare abiti molto resistenti per il lavoro. Questo tessuto sarebbe stato esportato già dal XVI secolo dal porto di Genova verso altre zone del mondo, e questo periodo coincide con la diffusione, in Inghilterra, della parola “jeans”.
Nella storia del jeans ebbe un ruolo rilievo anche Garibaldi, che nel corso della celebre spedizione dei Mille aveva indosso, assieme a tutto il resto della sua truppa, i calzoni “genovesi”. E ancora una volta troviamo la città di Genova investita di una certa importanza nella storia di questi pantaloni.
Non per niente, nel 2004 gli studenti di alcune scuole del genovese hanno realizzato un immenso pantalone “Blu di Genova” utilizzando, per l’appunto, qualcosa come 600 paia di jeans usati: questo grandissimo pantalone, alto oltre diciotto metri, è stato fatto “indossare” a una gru nell’antico porto del capoluogo ligure.
Un’altra supposizione circa la storia del jeans, ci porta nella vicina Francia, a Nimes, famosa per dei pantaloni da lavoro molto resistenti di color indaco. Il tessuto avrebbe potuto chiamarsi “de Nimes”, per poi evolvere in “denim”. Questi pantaloni erano in effetti indossati dai marinai liguri dei secoli passati e questa teoria coinciderebbe con vari elementi noti nella storia del jeans.
Il museo de La Spezia propone poi altre suddivisioni: oggetti di arte sacra, sculture mariane in marmo, portali in ardesia, crocifissi lignei, suppellettili liturgiche e dipinti. Molto curiosa è l’area dedicata alla superstizione e alla magia.
Visitate quest’angolo di Liguria per il mare, l’arte e i cibi. Impossibile resistere davanti a un piatto di acciughe di Monterosso, chiamate u pan du ma (“il pane del mare”). Assaggiate la farinata, una torta salata molto sottile, preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio extravergine di oliva. I suoi ingredienti sono caratteristici della cucina povera. I fiori di zucca ripieni, sono i miei preferiti. Mentre il dolce tipico si chiama Buccellato, a forma di ciambella.
Tra i principali vini di La Spezia c’è lo Sciachetrà, il DOC delle Cinque Terre, il Levanto e la Vernaccia, provenienti dalla Riviera spezzina e il Vermentino delle colline di Luni e di Arcola.