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Passato, presente e futuro: la ricerca sulla canapa industriale non si ferma. Intervista a Luciana Angelini

Che sia fibra, canapulo, infiorescenza o seme, ogni parte della canapa può diventare un prodotto industriale. È cosa nota, ma spesso sono meno noti i lunghi percorsi di ricerca che portano alla creazione di nuovi materiali, nuove soluzioni, nuovi processi. Se è vero infatti che dietro ad ogni scoperta c’è una storia, a Pisa dietro alla ricerca sulla canapa c’è quella di Luciana Angelini. Da 20 anni con il suo gruppo di ricerca  si occupa di studiare gli aspetti agronomici e la tecnica di coltivazione della canapa al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali. Ha visto passare le stagioni della noncuranza, dell’interesse minoritario, della legge 242, con l’euforia e le incertezze che ne sono seguite. Eppure la sua ricerca non si è esaurita, anzi, oggi più che mai richiede maggiori sforzi.  

Lei è stata fra i pionieri in una regione pioniera, la Toscana, quando il discorso sulla canapa era marginale. La sua attività di ricerca è nata e si è sviluppata nell’ottica di creare reali opportunità di sviluppo, per dare risposte sia al mondo agricolo, ma anche a quello industriale. Ci racconta quegli anni?

Erano i primi anni del 2000, quando all’interno di un progetto finanziato dalla regione Toscana, furono condotte le prime sperimentazioni sulla coltivazione della canapa industriale nella pianura pisana. L’azione riguardava la coltivazione, la trasformazione e la commercializzazione della canapa a scopi produttivi e ambientali. L’obiettivo era quello di sviluppare una filiera agro-industriale della canapa da fibra in Toscana.

I risultati ottenuti misero in evidenza come le cultivar analizzate fossero in grado di presentare elevati livelli produttivi, una buona tolleranza allo stress idrico e una buona capacità di competere nei confronti delle infestanti. Le rese in fibra e canapulo si rivelarono spesso superiori a quelle ottenute nelle aree tradizionalmente vocate della pianura padana. Confrontammo per due anni consecutivi nuove varietà di canapa dioiche e monoiche rispetto alle cultivar tradizionali, al fine di valutare la lunghezza del ciclo, i loro fabbisogni nutrizionali, la resa in steli, in fibra e canapulo. Poi continuammo la ricerca confrontando la coltivazione delle stesse varietà di canapa in sistemi biologici, con risultati molto interessanti sia per i vantaggi agro-ambientali che la canapa produce, sia in termini di livello produttivo e qualità della resa in fibra. Insieme ai colleghi del Dipartimento di Ingegneria Chimica, lavorammo per studiare la possibilità di inserire la fibra in nuove applicazioni nel settore dei materiali compositi, in sostituzione della fibra di vetro. I risultati relativi alle proprietà fisico-meccaniche dei materiali compositi con fibra di canapa erano in linea con quanto riportato in letteratura. Tali materiali si dimostrarono perfettamente in grado di sostituire prodotti a più alta intensità energetica e di difficile smaltimento.   

Della fibra lei ha esplorato anche i trattamenti post-raccolta. Con quali risultati?

Abbiamo condotto approfondimenti sperimentali sui processi di macerazione per la separazione della fibra dal canapulo. Sappiamo infatti che i processi di stigliatura e macerazione per l’ottenimento delle fibre rappresentano un aspetto critico della filiera agro-industriale della canapa da fibra. Questi processi influenzano le caratteristiche delle fibre e le loro proprietà fisico-meccaniche all’interno di matrici polimeriche, quali quelle dei materiali biocompositi. In questo caso abbiamo studiato i processi per migliorare la compatibilità tra fibra naturale e matrice polimerica, e abbiamo capito come i processi biologici, basati sull’uso di microrganismi e enzimi, fossero più promettenti, in quanto consumavano meno energia e mostravano una migliore compatibilità ambientale. 

La sua ricerca ha riguardato anche le capacità fitodepurative della canapa?

Sì. In particolare ricordo lo studio condotto nell’area di bonifica del lago di Massaciuccoli, caratterizzata da problematiche derivanti da uno sfruttamento agricolo, purtroppo non sempre sostenibile.  Abbiamo cercato di individuare possibili soluzioni agronomiche, come la fitodepurazione, funzionale ad una gestione agricola sostenibile di quest’area torbosa, attraverso la coltivazione della canapa.  Abbiamo potuto verificare la capacità della canapa, non solo di produrre in quegli ambienti quantità elevate di biomassa, ma anche di fitodepurare le acque, trattenendo i nutrienti in esse contenuti. 

Poi è arrivata la legge nazionale sulla canapa industriale. Lei in quegli anni faceva ricerca  sulla canapa per la produzione di semi e olio, che interessavano molte aziende agricole del territorio toscano. C’era un Patto di filiera che si chiamava “Filiera canapa toscana”, stipulato tra Legambiente,  Consorzio Strizzaisemi, Chimica Verde Bionet, alcune associazione di consumatori e aziende agricole della Provincia di Pisa. Ci racconta questo percorso?

 Gli obiettivi di questo progetto, che vedeva il coinvolgimento di molti portatori di interesse,  erano tanti. Occorreva innanzitutto verificare, insieme alle aziende agricole, la possibilità di introdurre varietà monoiche di canapa per la produzione di granella nelle aree di pianura e di collina della provincia. Poi andava ottimizzata la produzione su scala aziendale, così come la raccolta meccanica. I processi di essiccazione del seme andavano del tutto messi a punto. Bisognava inoltre definire le condizioni operative ottimali per la spremitura meccanica a bassa temperatura, per ridurre le perdite e garantire livelli di qualità dell’olio e della granella conformi agli standard di qualità e sicurezza richiesti per l’uso alimentare. Le cultivar da granella hanno un più ridotto rapporto tra granella e paglia rispetto a quelle da fibra, pertanto era importante anche trovare il modo per usare integralmente la biomassa della coltura (fusti e residui della trebbiatura), per aumentare la produzione lorda vendibile.  Abbiamo constatato come il processo partecipativo messo in atto e le attività che ne sono scaturite, siano un valido strumento per consapevolizzare gli attori della filiera sulle opportunità presenti nel territorio per questa coltura. I risultati hanno riflesso questa complessità. Da un lato hanno messo in evidenza diverse criticità nella fase di produzione agricola della granella, in particolare per raccolta e essiccazione, dall’altro hanno consentito di ottenere tramite spremitura meccanica, un olio di alta qualità. Un olio dal contenuto correttamente bilanciato di acidi grassi essenziali, con  un rapporto tra questi molto prossimo a quello raccomandato dalla ricerca medica relativa al consumo di acidi grassi essenziali per l’alimentazione. Abbiamo infine recuperato anche i panelli residuali dalla spremitura a freddo, ancora ricchi di olio, ma soprattutto di proteine di alta qualità nutritiva e ricche di aminoacidi essenziali, che possono essere utilizzati in preparazioni per celiaci, essendo privi di glutine.

A cosa sta lavorando adesso?

Tra le altre cose, al progetto COBRAF, COprodotti da BioRAFfinerie. Si tratta di un progetto che fa parte della misura 16.2 del Programma di Sviluppo Rurale della Regione Toscana, in linea con gli obiettivi del “Parternariato Europeo per l’Innovazione”. Anche in questo caso gli obiettivi sono ambiziosi e puntano alla piena sostenibilità attraverso la realizzazione di una serie di azioni svolte in stretto collegamento tra il mondo della ricerca, quello delle aziende agricole e delle imprese industriali. Si propone infatti di avviare, in un’ottica di bioraffineria, nuove filiere agroindustriali, integrate nel territorio toscano, a partire dai prodotti e co-prodotti di quattro colture,  tra cui la  canapa. È un progetto importante perché prevede un approccio di utilizzazione a cascata dell’intera biomassa, e quindi la valorizzazione di tutte le diverse componenti della pianta, al fine di ottenere materie prime, dall’elevato valore aggiunto, da destinare a diversi settori industriali: da quello alimentare (olio e seme di canapa), nutraceutico, farmaceutico (cannabidiolo),  cosmetico (olio fisso e oli essenziali ricavabili dai residui della lavorazione del seme), a quello della bioedilizia (conglomerati cementizi per l’industria delle costruzioni) e dell’automotive (compositi in fibra di canapa in sostituzione della fibra di vetro nei pannelli dei camper).

Nonostante le contraddizioni di un sistema paese che non sa scegliere, la ricerca continua a rivelarsi un passaggio necessario. Che bilancio può trarre di questi venti anni e come vede il futuro prossimo per questo settore?

Ritengo che l’attività di  ricerca condotta nel nostro Paese in questi ultimi anni abbia svolto un ruolo fondamentale per far conoscere i limiti e le grandi opportunità di questa coltura, fornendo alle imprese agricole e a quelle artigianali/industriali elementi di conoscenza per sviluppare processi e prodotti innovativi in linea con le politiche europee che incentivano la transizione verso la bioeconomia.

Negli ultimi 40 anni in Europa la coltivazione della canapa è aumentata di circa il 700% e oggi la superficie agricola interessata ha superato i  40.000 ha (con la Francia primo paese produttore europeo). Nel nostro paese l’area coltivata a canapa interessa circa 4000 ha, tuttavia si assiste a forti oscillazioni nell’espansione della coltura a seguito del rischio associato alla sua coltivazione e raccolta, ed ai conseguenti problemi economici relativi alla redditività della coltura su scala reale. 

L’introduzione di questa coltura in diverse aree agricole della Toscana litoranea e l’ottimizzazione delle  agrotecniche può contribuire a diversificare i sistemi agricoli  e a garantire un livello di produttività adeguata ed economicamente sostenibile. Lo sviluppo di nuovi sistemi di raccolta e prima trasformazione per separare la fibra dal canapulo (sul modello di quelli già attivi in Puglia e in Piemonte), potrà garantire un’offerta di semilavorati ampiamente flessibile rispetto alle esigenze di mercato. Ciò renderà possibile l’avvio di una filiera regionale anche grazie al supporto delle misure del Programma di Sviluppo Rurale della Regione Toscana che cofinanziano gli investimenti e la creazione di network tra i diversi “attori” della filiera. In Toscana, i settori della nutraceutica e cosmeceutica sono emergenti, con realtà produttive di piccole dimensioni, ma fortemente innovative con interesse per applicazioni che riguardano in modo prioritario il seme da produzioni biologiche. La valorizzazione delle paglie, mediante impianti di separazione fibra-canapulo, è una condizione imprescindibile  per le aziende che operano nei settori dell’edilizia e delle costruzioni interessate al canapulo, o a quelle che producono pannelli isolanti e biocompositi, interessate alla componente fibrosa. Ci sono imprese importanti che sono interessate ad investire in questa direzione.

Per quanto riguarda il futuro, credo sia importante lavorare tutti insieme per costruire un orizzonte e una visione comune. Guardo con interesse al modello francese, con filiere produttive concentrate sulla fibra tecnica per l’ industria cartaria e edile, caratterizzato da un alto tasso di organizzazione con associazioni di produttori che riuniscono numerose aziende agricole, e aziende di trasformazione associate. Accordi di medio periodo assicurano ai produttori primari un mercato sicuro e prezzi stabili, e alle imprese industriali  la sicurezza di approvvigionamento e il rapido ritorno degli investimenti effettuati per gli impianti. Vorrei che queste esperienze fossero di esempio per il nostro paese. Non mancano né competenze né opportunità, e alcune iniziative si sono avviate, occorre capire bene quali direzioni prendere, in poche parole, pianificare. Ma a ben vedere, anche questa è ricerca.

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