Il dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere e sulla cannabis in particolare (e in generale al tempo stesso, si parli di liberalizzazione, depenalizzazione, terapeutica, medica, light, industriale e chi più ne ha, più ne metta) in Italia va avanti a fiammate. Da anni. E così, in un contesto politico completamente schizofrenico, si inseriscono l’ondata del referendum, quella del testo base adottato in commissione Giustizia altre decine di proposte – più o meno serie – polverizzate nel palazzo e nelle piazze.
In uno scenario del genere, dunque, non possono non fare notizia le parole della ministra delle Politiche giovanili Fabiana Dadone, che, in un’intervista che ha preceduto l’inizio della VI Conferenza nazionale sulle dipendenze (in programma a Genova, dopo oltre dodici anni di assenza, altra notiziona…), ha ricordato di essere tra le promotrici di una legge per la legalizzazione della cannabis e auspicato di arrivare “alla stesura di un piano nazionale di azione”.
Se non altro, è un deciso passo in avanti rispetto ai suoi colleghi pentastellati di governo che, dopo una campagna elettorale condotta tutta a favore della legalizzazione, dal 2018 ad oggi, una volta impegnati in ruoli apicali all’interno dei tre esecutivi che si sono succeduti in questa legislatura, si sono dimenticati delle vecchie promesse e delle vecchie battaglie. Le (rare) eccezioni si sono limitate a iniziative parlamentari poco efficaci, seppur meritorie.
Davanti a questa presa di posizione molto netta della ministra Dadone, c’è da registrare un altro fatto che non ci lascia indifferenti, ossia la reazione del ministro del Lavoro Andrea Orlando. Da anni dirigente di punta dei democratici, ha attraversato tutte le fasi politiche del Pd e si è ritagliato spazi di primo piano sia al governo che nel partito. Insomma, è uno che non parla mai a caso e misura molto bene le parole.
“L’approccio meramente repressivo – ha detto – è stato pregiudizievole e respingente e non si è fatto carico delle fragilità”. Secondo il ministro, specialmente “nel momento in cui un partner non proprio irrilevante e un alleato non proprio trascurabile come la Germania sembra cambiare profondamente linea su questo fronte, è inevitabile che qualche riflessione si faccia anche nel nostro Paese”.
Come noto, la tenuta del Pd da questo punto di vista non è propriamente granitica. Registriamo comunque con favore un’uscita così da parte di una personalità non certo secondaria all’interno dello scacchiere dem. Per questo possiamo considerare questa “nuova” evoluzione del dibattito interno al Partito Democratico come una buona, mezza notizia.
In questa panoramica non poteva mancare la non-notizia, che riguarda, come sempre, il centrodestra. Davanti a parole tutto sommato equilibrate, le reazioni scomposte dei vari Salvini, Meloni e Gelmini sono da derubricare a pura, retrograda, propaganda e per questo evitiamo di riportarle qui.
Teniamo piuttosto occhi e orecchie aperte, cercando di capire se, finalmente, i tempi sono maturi per una vera alleanza politica che dica basta a “ipocrisie, ideologie, fanatismi e propaganda politica”, per dirla come l’ha detta proprio il ministro Orlando. L’atteggiamento sul referendum e la tenuta della maggioranza che ha approvato il testo base sull’autocoltivazione in commissione Giustizia alla Camera ci daranno già molte risposte.