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Canapa, cultura della vita

Un articolo dell'autore del libro “Canapa, cultura della vita nel mondo e nella Judicaria”

Canapa, cultura della vita

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Canapa, cultura della vita

“Canapa, cultura della vita nel mondo e nella Judicaria” è il titolo del libro che ho scritto insieme a Maria Pia Macchi. E’ un lavoro di ricerca che si divide in due parti: la prima a cura di Maria Pia Macchi, etnobiologa e antropologa da sempre interessata alle piante curative e alimentari, è una ricerca bibliografica sulla pianta della canapa, sul suo utilizzo durante i secoli nelle varie parti del Pianeta Terra per ottenere tessuti, medicine e semi alimentari. Il lavoro di Maria Pia è un’analisi precisa delle caratteristiche di questa pianta, della diffusione e utilizzo nel mondo e delle sue notevoli virtù.

La seconda parte è una ricerca antropologica sul campo e narra gli incontri che ho avuto con i giovani agricoltori che, a partire dal 2017, hanno reintrodotto questa coltura nei campi trentini e con gli anziani, custodi della memoria, che ancora ricordano la presenza della canapa sul territorio e le lunghe e faticose fasi della lavorazione della pianta per ottenere il filato e il tessuto. 

Sono le loro voci che danno vita a questo lavoro.

Il ritorno della pianta sul territorio, la sua presenza fisica, la sua manifestazione, è il solo modo per  ritornare a vedere questa pianta come un’immensa opportunità per il futuro e rendere consapevoli le persone delle numerose proprietà della canapa.

“Dice la canapa al lino, mentre tu ti consumi io mi raffino”.

L’abbandono della canapa in campo tessile dopo la seconda guerra mondiale, sostituita dal cotone d’importazione e dalle fibre sintetiche, ha impedito l’innovazione e lo sviluppo di una ricerca tecnica e tecnologica che avrebbe potuto rendere competitiva questa coltura della vita. I tessuti di canapa durano a lungo e la sua coltivazione non richiede diserbanti e pesticidi come il cotone per il quale, si stima, siano utilizzati un quarto dei pesticidi oggi utilizzati in agricoltura.

Ma c’è anche il settore dell’alimentazione, quello da valorizzare sempre più perché si producono a livello locale alimenti ad alto valore nutrizionale. La riscoperta dell’uso alimentare della canapa è solo agli inizi, l’animale umano fa parte della famiglia delle grandi scimmie insieme a bonobo, scimpanzé, orango e gorilla; mangiare i semi, compresi quelli di canapa, è naturale per noi e per loro.

La ricerca moderna conferma la preziosità di questi semi ricchi di nutrienti essenziali al buon funzionamento delle cellule di cui siamo composti: acidi grassi omega tre e omega sei, proteine, amminoacidi essenziali, vitamine del gruppo B e minerali come fosforo e ferro.

Non dimentichiamo poi le proprietà terapeutiche e curative delle infiorescenze di canapa che sono note da tempo: basti pensare che moltissimi farmaci fino alla metà de secolo scorso avevano il principio attivo della canapa più conosciuto il Thc, responsabile dell’effetto psicotropo, tra i propri ingredienti. Oggi è possibile curare con la canapa ricca di Thc, venduta in farmacia, alcune patologie come il glaucoma o l’inappetenza causata da terapie chemioterapiche. Questa canapa non è liberamente coltivabile a differenza delle varietà autorizzate dall’Unione Europea, presenti in una lista di varietà ammesse.

Bisogna fare chiarezza: la canapa ha moltissimi usi, a seconda di ciò che vogliamo ottenere dalla coltivazione sceglieremo i semi più adatti. Per l’utilizzo tessile sceglieremo Carmagnola e Eletta Campana, per l’utilizzo alimentare Futura 75, Uso 31 e Finola per ottenere infiorescenze ricche di Cannabidiolo, CBD, dalle proprietà curative, varietà ancora diverse. Tutte queste varietà fanno parte di un elenco di varietà liberamente coltivabili all’interno dell’Unione Europea perché non contengono, o contengono in misura limitata, il principio attivo responsabile degli effetti psicotropi della pianta, il tetraidrocannabinolo o Thc. 

Il CBD è uno dei principi attivi della canapa più studiati per le sue proprietà; attualmente in Italia non esiste una normativa chiara in materia: i prodotti a base di Cbd non sono considerati edibili nonostante siano utilizzati da moltissime persone. 

Per ottenere infiorescenze ricche di CBD bisogna coltivare solo piante femmina e i produttori sono attenti a farle crescere in campi isolati, lontani dalle coltivazioni di canapa da seme. Il polline delle piante maschili nei campi destinati alla produzione del seme può viaggiare, trasportato dal vento, per molti chilometri e raggiungere le piante femmine che, fecondate, produrrebbero il seme invece dei fiori resinosi.

La canapa ha molti altri usi oltre a quelli principali, tessile, alimentare e medico, di cui ho parlato: dalla canapa si può ricavare carta di qualità, la carta più antica conosciuta si ritiene sia stata prodotta in Cina con corteccia di gelso e fibra di canapa, le banconote francesi erano stampate su carta di canapa; dalla canapa si possono ricavare pannelli isolanti e, mescolandola con la calce, mattoni per l’edilizia; dalla canapa si possono ricavare filati per stampanti 3D, cosmetici, lettiere per animali, funi e corde, reti da pesca, carburanti e oli combustibili, plastiche vegetali, carta, oli per vernici e colori, tele per dipingere.

Ci troviamo di fronte ad una scelta epocale: continuare a vivere come abbiamo fatto negli ultimi 200 anni, basando il nostro sviluppo materiale sui combustibili fossili oppure renderci conto che la scelta fatta negli anni ‘50 del secolo scorso, la scelta di puntare sul petrolio e i combustibili fossili e sulla chimica per realizzare dal petrolio tessuti e medicine (alcuni integratori vitaminici oggi in commercio ricavano le vitamine dall’oro nero), è stata una scelta errata che ci ha portato sull’orlo del precipizio climatico, sociale e culturale.

Allora abbiamo sbagliato, eliminando una possibilità di futuro; la canapa cresce in fretta e ha una grandissima adattabilità, si stima che possa crescere su un terzo delle terre emerse, utilizza pochissima acqua, assorbe anidride carbonica in grande quantità, molto più in fretta di un bosco. Queste le conclusioni di uno studio realizzato dall’Università di Cambridge. “La canapa industriale assorbe da 8 a 15 tonnellate di CO2 per ettaro di coltivazione. In confronto le foreste catturano tipicamente da 2 a 6 tonnellate di anidride carbonica per ettaro all’anno, a seconda del numero di anni di crescita, della regione climatica, del tipo di alberi”. 

Dovrebbe essere obbligatorio seminarla nei campi, sui terrazzi nei parchi, nelle rotonde delle strade, nei giardini e negli orti, sui sentieri alpini e lungo i fiumi, sulle rive di laghi e vicino al mare, vista la enorme concentrazione di questo gas nell’atmosfera e i suoi disastrosi effetti!

Negli anni ‘50 del secolo scorso si è deciso di eliminare una pianta che per secoli aveva aiutato l’animale umano nella sua evoluzione, quella pianta si chiama canapa. 

Errare umanum est perseverare diabolicum! Un altro mondo è possibile!

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