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Canapa, cultura della vita

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Diario canapologico 2024, un estratto racconta la storia di Marcello

18 gennaio

Dopo un giro nel bosco incontro Marcello che guarda la terra invernale dove crescerà l’orto; indago su una sua affermazione di qualche anno fa, riportata nel Diario non nel libro: mi aveva detto che nella casa del paese di Stravino dove abitava prima di sposarsi con la famiglia aveva un campo dove aveva coltivato canapa per ottenere semi da dare come cibo ai cardellini, gli uccelli in gabbia che tutti avevano in casa a fare compagnia. Indago e gli chiedo quando si è sposato, alla fine degli anni ‘60 e si è trasferito quaggiù. Dice di aver sempre coltivato canapa anche in questo campo e mi indica il luogo dove cresceva, fino agli anni ‘90, la ricorda. Ricorda che era una bella pianta, presente in ogni campo del paese insieme ai girasoli; ricorda che molti semi venivano mangiati dagli uccelli nel campo e che, così facendo, altri semi cadevano a terra e ogni anno, dove avevi seminato canapa crescevano da sé molte piante e non serviva seminarne più perché si prendevano le queste piante spontanee e le si trapiantava; Marcello ricorda che molti semi finivano nel mucchio della grassa perché vi si buttavano le piante una volta tolte dai campi e così, dopo lo spargimento della cacca sui campi, crescevano piantine di canapa dappertutto. 

Mi dice che le piante, quando le si seminava, le si metteva ad un metro di distanza l’una dell’altra e che la canapa cresceva come gli abeti: di forma conica con i rami tutto intorno così carichi di semi che si piegavano verso il basso per il gran peso.

Mi piacerebbe trovare quei semi; oggi molti coltivatori di semi lamentano la poca forza dei semi che si trovano in commercio ma sono costretti ad acquistare sementi selezionate, di alcune varietà di canapa, a causa della confusione e della mala informazione che identifica canapa e marjuana.

Chiedo a Marcello se per caso ne ha ancora, purtroppo risponde che non ne ha più ma mi invita a cercare perché era in tutti i campi del paese e qualcuno magari li ha conservati.

Indago ancora un poco, nel frattempo il sole ha quasi raggiunto la cresta della montagna in fondo ma ancora ci dona luce e calore.

Chiedo il perché di tutte queste piante e quando ha iniziato a coltivarla?

L’utilizzo dei semi era alimentare: il consumo non era umano ma animale: ne erano ghiotti i cardellini e i lugherini, uccelli catturati e messi in gabbia per fare compagnia e ascoltarne il canto. Era conoscenza comune che i cardellini quando gli si dava da beccare i semi di canapa cantavano di più e meglio; Marcello racconta che cantavano perché il seme di canapa, molto proteico, li scaldava, cioè scaldava loro il sangue e perciò donava forza “…e per cantare serve energia”.

Chiedo infine perché lui e gli altri abbiano smesso di coltivarla, mi risponde che si smise perché era diventata troppa, cresceva ovunque e ci si stufò di averla nell’orto.

Non fu il proibizionismo incarnato da un carabiniere ma si smise perché non serviva più!

E aggiunge che sarebbe bello seminarla ancora, dice che non è difficile trovare i semi, la vendono come mangime per gli uccelli, sarebbe bello; è una bella pianta, e ha anche un buon odore aggiungo e lui annuisce.

Era bello averla nei campi, noi la coltivavamo sempre nel campo come anche il girasole. Anche quello si seminava da sé, alcuni semi cadevano a terra i autunno e in primavera spuntavano le piantine. Adesso non se ne vedono più, sarebbe bello…

 

 

*testo di Ivan Montagni, economista, coltivatore, canapologo

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