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Il decreto sicurezza affossa il settore della canapa. Adesso serve una mobilitazione collettiva

Alla fiera della Canapa si respirava fino a ieri un clima di entusiasmo e orgoglio per un settore in crescita, simbolo di innovazione sostenibile e rinascita agricola. Ma oggi, all’ombra del nuovo “Decreto Sicurezza”, l’atmosfera è cambiata. Più che l’odore della canapa, aleggia un senso di sgomento e rabbia.

Il recente provvedimento varato dal governo, che interviene pesantemente sulla produzione, trasformazione e commercializzazione delle infiorescenze di canapa, rischia di creare un vero tracollo. E l’aria non può che essere cupa.

Un settore da due miliardi di euro di fatturato, con oltre 22.000 lavoratori e circa 3.000 imprese attive, potrebbe finire nel baratro nel giro di pochi mesi. La canapa industriale, utilizzata in tessuti, cosmetici, alimenti e persino materiali da costruzione, è stata improvvisamente criminalizzata in nome della “sicurezza pubblica”. Ma quale sicurezza si vuole tutelare, se non quella di vecchi stereotipi e disinformazione?

Una scelta ideologica, non tecnica

Secondo Stefano Vaccari, capogruppo PD in Commissione Agricoltura, “è intollerabile che il governo prenda in giro l’intero comparto della canapa industriale e basi le sue scelte propagandistiche su presupposti infondati in termini di sicurezza e salute pubblica”. La risposta vaga del sottosegretario D’Eramo a un’interrogazione parlamentare è solo l’ennesimo schiaffo a un settore che, fino a ieri, rappresentava una delle più promettenti filiere green italiane.

Il decreto, infatti, non solo non distingue chiaramente tra usi leciti e illeciti della pianta, ma nega agli imprenditori ogni possibilità di adeguamento: nessuna proroga, nessun periodo transitorio per smaltire i prodotti già immessi sul mercato, nessuna tutela per i lavoratori. Un colpo basso, che minaccia di trasformare migliaia di agricoltori onesti in “criminali” da un giorno all’altro.

Una decisione che isola l’Italia e viola l’Europa

A preoccupare è anche la ricaduta internazionale della norma: circa il 95% delle infiorescenze prodotte in Italia viene esportato, soprattutto in altri Paesi dell’Unione Europea dove la canapa industriale è regolamentata in modo chiaro e moderno. L’Italia, con questo decreto, rischia di trovarsi non solo isolata, ma anche esposta a procedimenti di infrazione da parte dell’UE, oltre che a un’ondata di ricorsi legali.

Le proposte delle opposizioni: regolamentare, non vietare

Il Partito Democratico ha già presentato un’interrogazione parlamentare, chiedendo conto al ministro Lollobrigida su tre punti chiave:

  1. Una proroga urgente per permettere agli operatori del settore di mettersi in regola o smaltire le scorte.
  2. La definizione chiara di una distinzione tra usi leciti e illeciti della canapa, per evitare ambiguità giuridiche.
  3. Una regolamentazione equilibrata che tuteli la salute pubblica senza distruggere un’intera economia sostenibile.

La mobilitazione è necessaria, ora

Il momento per agire è adesso. Il mondo della canapa non può permettersi di rimanere in silenzio mentre viene spazzato via da un provvedimento ideologico e miope. Gli imprenditori del settore, le associazioni, i lavoratori e i cittadini devono farsi sentire, dentro e fuori dalle istituzioni.

È il tempo della mobilitazione collettiva, della solidarietà e della consapevolezza. Perché difendere la canapa non significa solo salvare posti di lavoro e imprese, ma difendere un modello economico innovativo, sostenibile e perfettamente legale.

L’Italia può ancora fare un passo indietro. Ma deve farlo in fretta.

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