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Chi ha paura della cannabis light?

Il ministro Fontana colpisce ancora. Dopo qualche settimana di silenzio sull’argomento è tornato a parlare di cannabis. Lo ha fatto da San Patrignano, luogo di recupero per ragazzi dipendenti da droghe. Ma se pensate che l’esponente leghista del governo si sia scagliato contro i narcotrafficanti, il mercato nero, i crimine o l’eroina vi sbagliate di grosso. Fontana ha scelto il suo capro espiatorio: i negozi di cannabis light.

Proprio quelli che sono diventati una realtà in molte città, quelli che hanno dato lavoro e un’opportunità per tanti giovani, quelli che, purtroppo, ancora troppi giornalisti, specie sulla stampa locale (ma non solo) continuano a descrivere come un’attività illegale.

Non sorprende quindi leggere in maniera perentoria su Avvenire che “La cannabis light non esiste” e addirittura riportare le dichiarazioni di Antonio Tinelli, responsabile della prevenzione di San Patrignano che, in barba a tutti gli studi, dice “Chi semina cannabis raccoglie eroina”.

Passano gli anni,  si moltiplicano studi e ricerche, cambiano le legislazioni nel mondo ma in Italia c’è sempre una certezza: il proibizionismo non cambia idea. Continua a vedere nella cannabis un problema e non una risorsa. Con buona pace di chi nel mondo (anche in Italia) usa la marijuana per scopi terapeutici come la cura da dipendenza da cocaina, tumori, sclerosi multipla, sindrome di Parkinson e molto altro.

E con buon pace della criminalità organizzata che sul mercato nero guadagna, si arricchisce e mette in circolo prodotti di pessima qualità.

Ma sopratutto con buona pace di chi in questi anni ha messo in moto la cosiddetta ‘new canapa economy’ che ha generato un giro d’affari superiore ai 40 milioni di euro nell’ultimo anno. Giovani, imprenditori che credono in un modello di sviluppo sostenibile, naturale e legale.

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