Dove non arriva il buon senso, arriveranno gli interessi economici. O almeno si spera. Secondo una ricerca del think tank londinese sulla transizione energetica Carbon Tracker, due quinti delle centrali a carbone del mondo lavorano in perdita.
Il think tank ha condotto la prima analisi globale sulla profittabilità di 6.685 centrali a carbone nel mondo, che rappresentano il 95% di tutta la capacità operativa (1.900 GW) e il 90% della capacità in costruzione (220 GW).
Secondo lo studio, il 42% delle centrali a carbone mondiali già oggi non sono più profittevoli, a causa degli alti costi del carburante. Al 2040 questa percentuale potrebbe raggiungere il 72%: i prezzi delle emissioni e le normative sull’inquinamento atmosferico già esistenti faranno alzare i costi, mentre i prezzi dell’elettricità dalle centrali eoliche e solari continueranno a scendere. Ogni futura normativa poi renderebbe il carbone ancora meno profittevole.
Carbon Tracker calcola che costi di più gestire il 35% delle centrali a carbone piuttosto che costruire nuovi impianti a fonti rinnovabili. Al 2030 costruire nuove centrali pulite sarà più conveniente che continuare a far funzionare il 96% delle centrali a carbone esistenti oggi e in programma. La Cina potrebbe risparmiare 389 miliardi di dollari chiudendo gli impianti, in linea con l’Accordo di Parigi, invece di continuare a sfruttarli. L’Unione europea potrebbe risparmiare 89 miliardi, gli Stati Uniti 78 miliardi e la Russia 20.