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Ma nel contratto di governo c’è scritto che bisogna fare la guerra alla cannabis?

Dopo l’entusiasmo scatenato dalle proposte presentate in Senato da due esponenti del Movimento 5 Stelle, Matteo Mantero e Nello Ciampolillo, sulla liberalizzazione dell’auto-coltivazione di cannabis ad uso ricreativo e terapeutico, sono arrivate secche prese di distanza, alcuni piccoli tentativi di conferma e altre docce gelate: il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, grillino, ha ripetuto il ritornello già pronunciato da Matteo Salvini. “Non è nel contratto di governo”.

Le stesse parole usate dal sottosegretario Vittorio Ferraresi, sempre del M5s, durante un incontro avuto nei mesi scorsi con le associazioni anti-proibizioniste FreeWeed e Canapese. Eppure, proprio Ferraresi era uno dei parlamentari che, nella scorsa legislatura quando era all’opposizione, più si era speso per la legalizzazione. Ma il contratto di governo, si sa, cambia tutto.

Quello che non capiamo e che ci permettiamo di chiedere, anche a Luigi Di Maio che più tardi ha definito “buona” la proposta di Mantero, è se nel mitologico contratto di governo fosse stato scritto che sarebbe iniziata una guerra senza quartiere alla cannabis light (che in settimana ha portato addirittura alla chiusura di un tabaccaio nel maceratese e alla denuncia del titolare) o se, invece, si fosse parlato esplicitamente di presentare “un progetto di legge per diminuire la quantità di droga per la quale si possa essere fermati e messi in carcere”, come sostiene fieramente Salvini.

E infine ci chiediamo: ma se davvero si voleva legalizzare la cannabis, perché accettare che a capo del dipartimento antidroga del governo fosse messo Lorenzo Fontana, esponente del leghismo più becero e oscurantista, che vuole far tornare l’Italia al Medioevo e che ha confermato, ancora una volta, che vuole mettere nel mirino tutti i cannabis shop?

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