Dalla minaccia di una nuova guerra con Gaza all’occupazione delle alture del Golan, ci si avvia verso delle elezioni del 9 aprile per rinnovare il parlamento israeliano con la solita tensione che rischia di generare caos.
In questo dibattito si è inserita, a pieno titolo, e con molto coinvolgimento, anche la questione della liberalizzazione della cannabis. Scrive Bel Trew, in un articolo pubblicato sul quotidiano The Independent che “fino a poco tempo fa, la cannabis non era amata in Israele, un Paese che ha grandi comunità ebraiche e musulmane conservatrici. Uno spinello, in passato, avrebbe potuto portare all’espulsione di un israeliano dal servizio militare”. Oggi non è più così e la polizia, spesso e volentieri , chiude un occhio anche se trova qualcuno a fumarla in pubblico. L’indulgenza è diretta conseguenza di 20 anni di legalizzazione per uso medico della cannabis (che però non ha reso legale la legalizzazione a scopo ricreativo). Molti aziende sono nate per investire in questo settore in crescita e sono proprio loro che hanno portato i loro interessi all’interno di un dibattito pubblico più ampio. Sull’Independent si racconta del caso studio della Seedo, una delle tante aziende imprenditrici israeliane che stanno rapidamente conquistando l’industria mondiale della marijuana: “Il prodotto di Seedo, che ha sede nella città di Yokneam Illit, nel nord di Israele, consente ai consumatori di coltivare marijuana in piccoli laboratori domestici e di seguire, attraverso una app, informazioni in diretta sulla crescita della pianta di cannabis, monitorando una serie di esigenze che poi vengono risolte grazie all’Intelligenza Artificiale”. In pratica dei contenitori che assomigliano a frigoriferi, controllano la temperatura, l’umidità, i nutrienti e l’illuminazione, apprendono da ogni ciclo di crescita e un app raccoglie informazioni da tutti i consumatori per perfezionare tutti gli aspetti della crescita di questa pianta. L’azienda ha attualmente oltre 3.000 ordini da tutto il mondo per apparecchi da 2.400 $ che, perfetti dal punto di vista tecnologico, possono produrre fino a 400 grammi di cannabis ogni 12 mesi. “È un apparecchio ermeticamente sigillato, quindi se ti trovi in un clima montano nepalese o nel deserto del Sahara, la tua pianta, prospererà lo stesso”, dice Uri Zeevi, CMO di Seedo al quotidiano The Independent.
Seedo è anche in procinto di produrre contenitori di dimensioni industriali che si possono immagazzinare in pila, consentendo alle aziende di creare cannabis medica di altissima qualità in qualsiasi luogo, anche i tetti di un grattacielo.
Ovviamente se si arrivasse ad una legalizzazione questo mercato esploderebbe. Perché la cannabis esiste indipendentemente dalla sua legalizzazione. La domanda è: chi godrà delle entrate, il governo o il mercato nero? I partiti che si presentano alle prossime elezioni dovrebbero dare delle risposte. Scrive Bel Trew che in effetti qualcosa si sta muovendo: “Politici come Netanyahu, che in gran parte hanno ignorato la droga nelle precedenti elezioni, la prendono in considerazione per cercare di attirare l’elettorato più giovane. Il capo del partito di destra del Likud ha detto poche settimane fa che avrebbe preso in considerazione la legalizzazione della droga se fosse stato rieletto. Ha promesso anche di aumentare l’uso della cannabis medica “ad uno dei più alti livelli del mondo”. La sua promessa è arrivata dopo che i sondaggi hanno mostrato che il nuovo partito di Zehout, di estrema destra, è diventato popolare grazie alla promessa di depenalizzare la droga. I sondaggi hanno inizialmente previsto che il gruppo libertario non sarebbe stato in grado di superare la soglia per ottenere un singolo seggio nella Knesset, ma un sondaggio di questa settimana, da parte di Channel 12, prevede ben cinque seggi”. Ma anche l’ex primo ministro israeliano e l’ex capo del Partito Laburista Ehud Barak si è inserito nel business, dopo essere diventato presidente di una società che possiede Canndoc, azienda che produce cannabis. In una conferenza a Tel Aviv ha detto che Israele è “la terra del latte, del miele e della cannabis”.
I CEO del settore sono d’accordo. Israele, nota per le sue start-up, l’agro-tecnologia, la ricerca e il bel tempo, sembra adatta per questa industria in piena espansione. Ed è anche anche più economico, tre volte di più che farlo in luoghi come il Canada dove il clima non è proprio dei migliori. E l’Italia? Resta a guardare nonostante le immense potenzialità.