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Intervista ad Ana Florencia, attivista in Argentina ed emblema della lotta contro le privazioni di libertà

L’attivismo sud americano è particolare, porta dentro di sé la forza delle Donne. Si dicono tante cose sulle energie ancestrali che trovano culla nella parte latina del continente, sicuramente la capacità di unire le forze è eloquente e farebbe scuola a molte civiltà che si autodefiniscono evolute. La Donna che si organizza e porta avanti cause comuni per la società è l’emblema della Madre, sensibile alle libertà individuali e contraria all’innaturale disciplina imposta dall’alto.

In Argentina, la n.27350/2007 “Legge sulla Cannabis Medica” era specifica per l’epilessia refrattaria, per questo motivo il presidente Alberto Fernández e due ministri, Sabrina Frederic e Ginés González García, hanno avviato un processo di rettifica della normativa per ampliare la prescrizione terapeutica per più patologie, alla ricerca e alla coltivazione domestica.

L’istituto centrale si occuperà di controllare la produzione e rilasciare le autorizzazioni alla produzione di farmaceutico e all’autoproduzione.

La forza delle donne, in questo, è stata determinante, gruppi organizzati di madri che chiedono al potere legislativo ed esecutivo di reagire rapidamente e dall’altra parte lo Stato che risponde con un’accelerazione nel processo normativo. Un processo che non è stato pensato per dare una mano all’economia, quanto piuttosto per combattere il mercato nero e dare spazio alle libertà personali.

Ana Florencia Sclani Horrac è giornalista, attivista e ricercatrice, rientra perfettamente nel profilo di Donna Cannabica che sta influenzando i processi di legalizzazione, per questo l’ho scelta per la mia intervista di questo numero e lei ha accettato con il suo entusiasmo, semplice, diretto, universale e caloroso. “Le donne che consumano cannabis sembrano avere il compito di riconnettere l’uomo con la natura attraverso la pianta di canapa. Come “streghe moderne” condividono l’olistica e la naturopatia come principi comuni al di là della nazionalità. 

Cosi per prima cosa le chiedo come e quando ha imparato a conoscere la cannabis e perché l’ha eletta emblema della lotta contro le privazioni di libertà.

“Da subito questa pianta è entrata a far parte della mia vita quotidiana. Oggi è parte del mio argomento di studio di dottorato e quindi del mio lavoro come stagista in un ente pubblico. Ho conosciuto la pianta di cannabis nel 2003. Avevo 16 anni e ho iniziato a frequentare una rasta. È stata lei ad insegnarmi molto. Il giorno che l’ho conosciuta mi ha detto: “Io mi faccio le canne e voi bevete mates”. Ad oggi ancora ricordo questa frase perché si è trasformata in qualcosa di più, in una posizione politica da un cambiamento nel quotidiano.

Con questa meravigliosa pianta ho capito la pazienza, la coerenza come ricerca e quanto sia vera quella frase che dice “ciò a cui si presta attenzione, cresce”. Mettere in discussione un intero sistema attraverso l’atto più rivoluzionario di tutti: produrre la nostra medicina, il nostro cibo quotidiano, il cibo dell’anima. E in quella ricerca la lotta si è estesa su più fronti dove i movimenti sociali si toccano, si raggruppano e si mobilitano. Per il rispetto della libertà”.

 

Nel percorso che hai intrapreso per la diffusione della cannabis medica hai approfondito l’effetto entourage con altre piante. Puoi farci qualche esempio?

“La coltivazione domestica della cannabis apre le porte alle altre piante esistenti e il loro uso e la loro cultura è qualcosa che accompagna questa trasformazione. Qui nel Cono Sud, la cannabis pressata viene venduta dal vicino Paraguay, che è in realtà un sottoprodotto contenente sostanze chimiche e adulterazioni provenienti dalla sua produzione di massa per la commercializzazione illegale. Nel 2001, la forte crisi economica ha in qualche modo favorito l’emergere di questo movimento che oggi permette la produzione domestica di fiori, estratti di ogni tipo e un’intera industria alle spalle dei grow shop della maggior parte delle grandi città. Quel contatto della popolazione urbana con la coltivazione delle piante, mostra come l’orto domestico possa essere la nostra migliore infermiera”.

 

Come donna hai incontrato ostacoli nella tua vita, nella società, nel lavoro. È meraviglioso il parallelo che fai tra proibizionismo e patriarcato, significativo di una vita di emancipazione sociale sulle sue spalle. Quali sono stati i principali ostacoli, gli obiettivi che hai raggiunto personalmente e cosa vorresti dire alle donne, italiane, argentine, di tutto il mondo, in merito a questo argomento?

“Penso che a livello personale, anche se ho avuto una grande possibilità di trasmettere il messaggio, mi sono lentamente nutrita di tante persone interessanti, che mi hanno insegnato, guidato, salvato, aiutato a trovare cosa dire. Gli ostacoli che si sono presentati sono stati combattuti collettivamente, in gruppo. Donne che condividevano il medesimo stile di vita, nel mondo latinoamericano che ci ferisce ma che incoraggia quell’identità ampia di essere tante che non lottano per una, ma per tutte le cause giuste!

Qui nel 2016 siamo riusciti per la prima volta a tenere il nostro workshop sulle donne e la cannabis in Argentina, in un incontro nazionale delle donne dalla grande affluenza. Nello stesso periodo abbiamo formato con il supporto della regione, la Rete Latinoamericana delle Donne Cannabis. Da lì è sorto il nostro spirito anti-patriarcale, de-coloniale e anti-proibizionista è una costruzione collettiva… è stato un processo, mentre ci conformavamo, emergeva… per capire quale posto noi donne vogliamo occupare all’interno del mondo cannabico.

Direi alle donne che ci sono migliaia di noi in tutto il mondo; donne che si organizzano, scoprono, si armano contro ciò che ci opprime con il nostro unico strumento in questa guerra: l’educazione”.

L’Argentina ha evoluto la legge sulla cannabis terapeutica ampliandola all’autoproduzione a scopo terapeutico. Qual è l’opinione pubblica a riguardo? Reputi sia stata una mossa politica per stimolare la ripresa economica del paese?

“Sebbene la legge della cannabis medica sia stata approvata nel 2017, durante il governo Macri e con intenzioni più economiche rispetto alla salute e all’accesso, oggi si discute nel governo un quadro più popolare e con un movimento cannabico molto più consolidato e consapevole dell’importanza della conoscenza empirica che la pianta ha fornito. C’è un grande interesse per la questione e soprattutto la qualità degli oli – che vengono prodotti e consumati illegalmente nel Paese – denota più di 20 anni di costante lavoro per migliorare le pratiche di coltivazione. Evidentemente l’opinione pubblica è divisa tra posizioni più corporative e posizioni più basate sulla comunità. Questa dualità accompagna l’industria, la cultura della cannabis e ha a che fare con l’enorme valore potenziale nel fornire lavoro e salute alla popolazione. Tuttavia, secondo me, fino a quando la legge che criminalizza la coltivazione domestica a scopi personali o la coltivazione nei club non sarà riformata, siamo lontani da una soluzione reale alle conseguenze del proibizionismo e del suo impatto reale sulla vita di molti”.

Ecco quindi un altro esempio di persona dalle grandi potenzialità che dona la sua energia al prossimo, con l’obiettivo di migliorare gli aspetti sociali, perché è dall’unione delle gocce che nasce il torrente e la forza corrosiva è costante, non-violenta.

Una semplice azione che può cambiare una società vuol dire cambiare punto di vista.

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