spot_img

Ultimi articoli

― Advertisement ―

spot_img

Extinction Rebellion e la verità sulla crisi climatica

Il Climate Clock segna poco più di sei anni alla fine del mondo. Tick tock fanno le lancette e le nuove generazioni si preoccupano...

L’Italia è antifascista

HomeGrowersColtivazioneQuante assoluzioni ci vogliono per fare una legge? La storia di Beatrice...

Quante assoluzioni ci vogliono per fare una legge? La storia di Beatrice e del suo growshop

Il “growshopparo” è un mestiere che ha aiutato a sviluppare il tessuto culturale della cannabis in Italia, due decadi prima della cannabis light in questi negozi si parlava già di autoproduzione con rischi molto alti per i proprietari. Processi e assoluzioni per gli operatori di molti grow shop era all’ordine del giorno: indagati per istigazione a delinquere o addirittura produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Negli ultimi anni, invece, è oggetto di sequestri e indagini la presenza di infiorescenze di canapa come da DPR 309/90 per la detenzione e la cessione a terzi.

Quante assoluzioni ci vogliono per fare una legge?

Quanti anni dovranno passare, quanti soldi delle casse pubbliche devono essere impiegati e quanti professionisti dovranno diventare martiri per il progresso? Lo abbiamo chiesto a Beatrice, titolare di un growshop a Podenzano, comune in provincia di Piacenza.

La storia di Beatrice inizia nel maggio 2019, quando decide di impiegare la sua passione e le sue energie in un grow shop: YOUCANN. Un nome che ricorda sia la cannabis ma soprattutto la possibilità di realizzare i propri sogni. “Era parecchio tempo che mi girava in testa di aprire un grow shop ma non avendo soldi ho sempre accantonato il progetto”, racconta Beatrice ricordando come il “posto fisso” ormai sia sola una figura mitologica dello scorso secolo. “Purtroppo a 40 anni mi trovai senza lavoro e fu un’escalation di esperienze a termine e di porte sbattute in faccia. Mi sentivo sempre dire che ero troppo vecchia o troppo qualificata”.

La cannabis è stata un’ancora di salvezza nel momento del bisogno e di questa pianta, come spesso accade, ci si appassiona: “Circa 6 anni fa mi ritrovai in una brutta situazione, violenze psicologiche dal mio compagno, e quando riuscii a scappare da mamma ero già preda di forti attacchi d’ansia e di panico. Dopo varie sedute dallo psicologo, la cannabis e tanto amore dalla mia famiglia mi ripresi. Mancava il lavoro, però. Così decisi di aprire Youcann: ora potevo far conoscere al mondo la Cannabis e quanto mi stava facendo bene”.

Si dice che alzare la serranda è il primo atto antiproibizionista che un groshopparo faccia al mattino. Un’immagine bellissima che rende bene l’impegno sociale e culturale che implica la gestione del grow shop, non è solo mero commercio. Beatrice è una groshoppara che ama il suo lavoro: “Non saprei se definirmi attivista o meno, spesso le classificazioni contengono dei limiti. Diciamo che amo e rispetto la cannabis, come amo e rispetto tutti gli esseri viventi. La utilizzo, non me ne vergogno e non mi sento una drogata, e cerco di informare il più possibile sui benefici di questa pianta. Se questo vuol dire essere attivista, allora lo sono!”.

Dal sogno all’incubo: il processo per detenzione e spaccio

Aprire il grow shop implica però anche esporsi a controlli da parte delle FFOO, a sequestri e processi. L’incubo degli operatori della filiera cannabica, i vuoti normativi pagati dai lavoratori. Beatrice ha vissuto tutto questo, ma “per i miei clienti non è cambiato nulla, sanno che la loro tutela è la mia priorità”.

“La Guardia di Finanza si è presentata il 15 novembre 2021 alle 6.30 del mattino mostrando un regolare mandato di perquisizione spiccato dalla Procura di Brescia”.
Beatrice ricorda con ansia quei terribili momenti che le hanno cambiato la vita: “Si sono presentati a casa di mia mamma, dove vivo perché ha 81 anni e una fibrosi polmonare. Sono arrivati a me tramite dei messaggi scambiati con un collega in cui parlavamo di coltivazione”. Le guardie si ritrovano nella casa dell’anziana signora con la massima collaborazione di Beatrice dinnanzi ad un’evidente frainteso, le due signore sono tutto fuorché malavitose fuorilegge. “Non avendo opposto resistenza e avendo mostrato ciò che avevo in casa – spiega – ovvero la cannabis light del negozio e tre piantine per la mia terapia, si sono resi conto che non ero una narcotrafficante ma una commerciante che soffre di attacchi d’ansia, di panico e depressione. Ho avuto un piccolo attacco davanti a loro”.

Il sequestro le ha arrecato non poche incombenze, paure, spese, ossia danni psicologici ed economici i quali Beatrice protesta: “Non trovo giusto che ad un commerciante vengano sequestrati i prodotti con cui lavora solo su supposizioni e dubbi. Avevo fatture e analisi di quei prodotti e l’ho fatto presente alle forze dell’ordine. Sarebbe bastato effettuare una campionatura dei prodotti da far analizzare e mettere sotto sequestro momentaneo il tutto fino al risultato”.
Il risultato per la commerciante è tra i più disastrosi: “Mi sono trovata, da incensurata, agli arresti domiciliari, perché c’era il Covid altrimenti mi avrebbero messo in galera, con processo per direttissima. Alla fine hanno solo gettato i soldi dei contribuenti”.

Infatti, il processo per direttissima non è stato svolto in quanto le infiorescenze sequestrate sono risultate dalle analisi con Thc 0,2%. Inoltre, le piantine da autoproduzione erano tutte in vegetativa, tranne una, ed hanno potuto analizzare solo quest’ultima (4,8% di thc).

A Beatrice hanno restituito i soldi in banconote sequestrati, un quantitativo ridicolo per uno spacciatore ma plausibile per un commerciante. Il procedimento è stato infine archiviato e per i 2,2 kg di cannabis light con Thc 0,2% è stata disposta la distruzione a cui i legali si stanno opponendo.

Come ha influito questa esperienza sulla vita di Beatrice

Sono esperienze che restano sulla pelle. Beatrice si espone ma ha vissuto momenti forti: “A seguito di tutto questo, per circa due mesi, ho fatto fatica ad entrare in casa, mi mettevo a piangere e la sera facevo fatica ad addormentarmi perché pensavo a chi mi avrebbe suonato alla porta il mattino seguente. Sono stata male molto e non avevo nemmeno la terapia perché se l’erano portata via. Mia zia, 86 anni, mi ha aiutata per un paio di mesi ma stiamo parlando di 500/600€ al mese di cure che sono tanti soldi per noi. Nel lavoro ho avuto non pochi problemi. Immaginate di avere un negozio che deve crescere, aver appena sottoscritto un prestito di 30mila euro, di aver progettato il Natale per cercare di rientrare il più possibile e trovarvi tutti propri beni sotto sequestro. Non solo, immaginate di dover pagare l’avvocato, di dover ricomprare la merce perché quella pagata è stata sequestrata e di non poter organizzare nulla per Dicembre. Senza soldi, ho pianto tutte le mie lacrime”.

Il processo: dall’arresto all’archiviazione

L’epilogo è dei più tragicomici: “L’udienza non c’è stata, ho ottenuto l’archiviazione e sono stata agli arresti “solo” 27ore. Certo che non mi sarei mai aspettata venisse richiesta la distruzione delle infiorescenze soprattutto perché erano nel limite consentito dalle leggi europee e nazionali”. Il prodotto era effettivamente allo 0,2% di THC ben al di sotto sia dei limiti EU per la canapa industriale che a ciò che impone il DPR 309/90, dato che la distribuzione in Italia è ancora come prodotto da collezione.

Il sistema istituzionale italiano: esecutivo, giudiziario e legislativo

I cittadini italiani spesso non si sentono rappresentati dalle istituzioni, ma men che meno nel settore cannabico, non riconosciuto, non normato, fortemente tassato. “Io non mi riconosco in coloro che ci dovrebbero rappresentare – dice onestamente Beatrice – ovvero la casta politica, perché non ascoltano ciò che gli italiani chiedono. La Magistratura in merito alla Cannabis sta dicendo la sua tutti i giorni perché tutti i giorni, oramai, abbiamo assoluzioni ed archiviazioni. La Magistratura ha capito che lo Stato fa finta di non capire.” Assolti dai giudici, arrestati dalle FFOO, non definiti dai politici, la groshoppara si chiede: “Perché? Perché dare una speranza a chi sta male e a chi vuole crearsi un futuro per poi togliergliela oppure renderla così difficoltosa che preferisci rinunciare. La vita mi ha insegnato a vivere l’oggi anche perché non ho certezze né come commerciante né come italiana. Non mi riconosco più nel Paese che amo e che mi ha dato i natali”.

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img