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Cannabis, in Parlamento va in scena il festival delle banalità e dei pregiudizi

Per la legislazione sulla canapa quella di oggi era una giornata importante. C’era grande attesa per le audizioni degli “esperti” che avrebbero dovuto chiarire tutti i dubbi davanti alle Commissioni riunite Affari sociali e Agricoltura di Montecitorio, chiamate ad iniziare l’iter per colmare i vuoti normativi legati alla legge 242 del 2016 e regolamentare il settore.

Ma quello che doveva essere un momento di confronto costruttivo, si è trasformato in una fiera di banalità e pregiudizi che restituiscono un’immagine del Parlamento italiano indietro anni luce rispetto alla media dei Paesi ritenuti civilizzati (e anche di molti considerati, spesso a torto, più arretrati). Salvo lodevoli eccezioni (circoscritte ad alcuni deputati di Cinque Stelle e Partito Democratico), si è trattato sostanzialmente di un attacco frontale alla cannabis light, usato come grimaldello per la solita battaglia ideologica contro la cannabis in generale.

E così per i deputati di Lega, Forza Italia e Fdi, “fumare una canna rende deficienti per sempre”, “bisogna togliere la droga dalle mani dei nostri ragazzi” e altre litanie degne di un Paese fermo a cinquant’anni fa.

C’è da dire che anche gli “esperti” auditi c’hanno messo del loro. In realtà si era partiti anche in maniera relativamente ragionevole, con Gianpaolo Grassi del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi agraria (Crea), a chiedere che “se vogliamo far partire la filiera della canapa bisogna chiarire che cosa si può fare con la canapa e la quantità di thc ammesse”, e Antonio Medica, direttore dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, a parlare della produzione di cannabis a scopo terapeutico, della necessità di implementare la coltivazione e di nuove partnership (con enti pubblici e privati) per soddisfare i fabbisogno crescente.

Poi è stato il turno di Adelmo Lusi, comandante dei Carabinieri per la tutela della salute, che si è presentato in audizione con una bustina contenente cannabis light, descrivendo la nascita di migliaia di negozi in tutta Italia come “uno shock, una sfida nei confronti delle forze dell’ordine”. Lusi ha chiesto che il legislatore si occupi di intervenire per “definire meglio limiti e possibilità di vendita, che stabilisca se un prodotto è un tabacco, un alimento o un farmaco. Il Parlamento dovrebbe affrontare questo tema e permettere ai mei uomini di operare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale”.

Ma il momento più paradossale si è raggiunto con l’audizione di Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, che prima ha chiesto di togliere dal mercato “semi e infiorescenze” (da notare che, per loro natura, i semi non contengono nessun principio attivo) per poi arrivare addirittura a mettere in discussione la cannabis medica “che oggi circola senza che sia stato fatto nessuno studio”. E infine concludere, dicendo che “i nostri giovani hanno già tanti problemi tra fumo e alcol, ci manca solo cannabis…”. Come se comprare erba tagliata con non si sa che cosa, in mezzo alla strada, alimentando le organizzazioni criminali, non fosse già un problema.

Un momento triste, a cui si spera non ne facciano seguito altri ancora più tristi. L’Italia non ha bisogno di andare sempre a passo di gambero, ma avrebbe tanto da guadagnare a volgere lo sguardo verso il futuro, come stanno facendo molti Paesi nel mondo, oltreoceano e non solo.

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