Il problema principale del settore della cannabis terapeutica in Italia? Non è di tipo legislativo. Almeno da questo punto di vista, anzi, nel nostro Paese siamo addirittura più avanti rispetto agli altri. Le questioni aperte, semmai, sono altre: c’è un problema di approvvigionamento e di produzione che soddisfi il fabbisogno, una lacuna socio-culturale da superare e, soprattutto, un ritardo nella formazione del personale medico-sanitario.
E’ per colmare questo gap che nasce Cannabiscienza, la prima start-up italiana per la formazione scientifica sulla Cannabis Medica e il Sistema Endocannabinoide. Da diversi anni, infatti, tutti i medici italiani sono legalmente autorizzati a prescrivere farmaci a base di cannabis. Nonostante ci siano più di 30mila pubblicazioni scientifiche internazionali su questo tema, nessun istituto privato o pubblico si è attivato con continuità e profondità dei contenuti per agevolare la classe medica e la popolazione all’accesso di queste conoscenze. Per riempire tale vuoto formativo nasce la start-up di informazione scientifica Cannabiscienza Srl, una realtà a forte vocazione sociale, giovanile che si muove tra Udine e gli uffici di Milano.
Ne abbiamo parlato con il direttore operativo, Andrea Cristofoletto. Ecco cosa ci ha detto.
Da cosa nasce l’idea di Cannabiscienza e come si è sviluppata?
L’idea nasce da un bisogno che a me e alla dottoressa Viola Brugnatelli (direttrice scientifica di Cannabiscienza, ndr) è risultato subito lampante relazionandoci sia con i pazienti che con il personale medico, che, nonostante le possibilità di cure che il sistema legislativo italiano permette, in molti casi non sanno dove trovare informazioni scientifiche e affidabili sull’argomento. Cannabiscienza è nata per colmare questo vuoto e tempi brevi siamo riusciti a trasformare un’idea in un prodotto finito. Abbiamo scelto lo strumento dell’e-learning, per dare modo al nostro corpo docenti la possibilità di divulgare le proprie conoscenza più rapidamente e al tempo stesso in maniera più ramificata e approfondita.
Che tipo di riscontro sta ottenendo il progetto Cannabiscienza?
Molto positivo. I feedback degli studenti che hanno frequentato i corsi sono entusiastici. Vengono molto apprezzate la qualità dei contenuti e la qualità del corpo docenti. La start-up è stata lanciata da poco, siamo andati in doppia cifra e contiamo di crescere ancora, anche grazie al lancio del nuovo corso di formazione, che si chiamerà “Cannabis medica clinica” e che avrà come interlocutore principale la figura del medico prescrittore. Attualmente abbiamo due corsi fondamentali, quello di cannabis medica di I livello e sul sistema endocannabinoide, e il primo corso di specializzazione dedicato ai farmacisti.
Chi vuole partecipare ai corsi di Cannabiscienza cosa deve fare?
Semplicemente entrare sul portale di Cannabiscienza.it, valutare l’offerta formativa, registrarsi effettuando l’acquisto del corso sul portale ed effettuare l’accesso presso la Cannabiscienza Academy. Qui troverà disponibili le sue lezioni per un tempo illimitato. Ogni anno, poi, per ogni corso, saranno rilasciati degli aggiornamenti sotto forma di video.
Passando a parlare più in generale della situazione relativa alla cannabis terapeutica nel nostro Paese, che giudizio ti senti di dare? L’Italia a che punto è?
L’Italia ha le leggi migliori al mondo sulla cannabis medica, anche se in pochi lo sanno. C’è un iter procedurale chiaro, magari un po’ macchinoso, ma di fatto, permettendo la somministrazione di medicinali a base di cannabis per qualunque patologia esistano evidenze di natura scientifica, l’Italia si posiziona su un livello unico, che nessuno in Europa può vantare. Dal punto di vista legislativo, il nostro Paese è quello che permetterebbe l’approvvigionamento più facile e più allargato.
Il problema semmai sono le adeguate conoscenze.
Assolutamente sì. Approvvigionamento, abitudine e conoscenze.
Passiamo invece a parlare di produzione di cannabis ad uso terapeutico. Sappiamo che al momento la produzione è di esclusivo appannaggio dell’Istituto Farmacologico militare di Firenze e non è sufficiente per soddisfare il fabbisogno. Come si ovvia a questo problema?
Il ministero della Salute dovrebbe farsi carico del problema relativo al fabbisogno, aumentare la capacità produttiva dell’Istituto e valutare l’apertura ad aziende private del territorio che potrebbe concorrere alla produzione di cannabis a scopo terapeutico.
L’autoproduzione non è una strada?
Non ho nulla contro l’autoproduzione, anzi. Però da lì a definire la cannabis autoprodotta come un prodotto di grado medicinale ad uso farmaceutico è un po’ difficile. Il medico ha bisogno di sapere esattamente la composizione della materia prima, quali sono le percentuali componenti attive, deve essere garantita una standardizzazione del prodotto. Le persone devono essere libere di fare ciò che vogliono, ma il medico prescrittore ha bisogno di prodotto di grado farmaceutico, che contempli quindi il controllo su tutta una serie di fattori genetici, ambientali, di conservazione del prodotto o di analisi qualitativa e quantitativa del prodotto farmaceutico per permettere una riproducibilità dei risultati clinici.
Cosa pensi del lavoro della commissione D37 che si pone l’obiettivo di creare un sistema globale di certificazione e standardizzazione della cannabis?
Facciamo un esempio: oggi giorno per olio di cannabis possiamo intendere una miriade di cose, troppe. E’ per questo che una standardizzazione sia delle procedure di produzione, sia della terminologia con la quale ci si interfaccia con questo mondo, sono assolutamente benvenute. Tutto questo è anche fondamentale per raccogliere i dati e contestualizzare le informazioni.
Come ti immagini il futuro per il settore della cannabis terapeutica in Italia? Come lo vedi tra dieci anni?
Me lo immagino con molti più medici e personale sanitario formati sull’argomento e con più pazienti che avranno la possibilità di approfittare delle possibilità di cura.