Eppure il vento soffia ancora / spruzza l’acqua alle navi sulla prora / e sussurra canzoni tra le foglie / bacia i fiori li bacia e non li coglie
(Pierangelo Bertoli – Eppure soffia)
In principio fu Adriano Celentano: a un quarto di secolo dalla nascita dei Verdi e a più di un cinquantennio dal noto cartone animato che metterà a dura prova l’integrità di Mediaset e dei suoi spettatori, il “molleggiato” introdusse nella musica leggera italiana la questione ambientalista presentando al Festival di Sanremo del 1966 l’autobiografica e iconica «Il ragazzo della Via Gluck».
Il successo della canzone diede vita a un ampio filone nella musica leggera italiana particolarmente critico verso l’urbanesimo, più volte battuto negli anni sessanta e settanta dallo stesso Celentano per polemizzare con la vita in città (“ora invece qui / nella città / i motori / delle macchine / già ci cantano la marcia funebre / e le fabbriche / ci profumano anche l’aria / colorandoci il cielo di nero che odora di morte” in «Un albero di trenta piani») e auspicare un ritorno alla vita in campagna (“più felice di me è il contadino / sai perché / perché la sua terra non può / tradirlo mai” in «Il contadino») – una linea etica cara anche a Giorgio Gaber, che nel 1969 registrò la sua ironica ballata alla francese «Com’è bella la città» (“Vieni, vieni in città / che stai a fare in campagna? / Se tu vuoi farti una vita / devi venire in città”).
Nella stessa tradizione ecologica vagamente reazionaria si inserì anni dopo Toto Cotugno con «Voglio andare a vivere in campagna», qui citata pretestuosamente per ricordare al lettore che a marzo Cotugno è stato indicato come nemico del popolo ucraino assieme ad Al Bano (autore, tra l’altro, della lettera d’amore al nostro pianeta «Cara terra mia») e che, nello stesso mese, in tutto il mondo occidentale si è tenuta la FridaysForFuture, la più partecipata e diffusa manifestazione di protesta ambientalista che l’uomo ricordi.
Mentre la musica leggera degli anni sessanta e settanta si occupava principalmente della vita insalubre in città, quella impegnata dello stesso periodo guardava più in là e profetizzava un olocausto nucleare o ecologico.
Francesco Guccini, ad esempio, immaginava nel 1967 un mondo distrutto per mano dell’uomo, dall’atomica (“vedremo soltanto una sfera di fuoco / più grande del sole, più vasta del mondo / nemmeno un grido risuonerà / e solo il silenzio come un sudario si stenderà” in «Noi non ci saremo») o dal progresso incontrollato (“la polvere rossa si alzava lontano / e il sole brillava di luce non vera / l’immensa pianura sembrava arrivare / fin dove l’occhio di un uomo poteva guardare / e tutto d’intorno non c’era nessuno / solo il tetro contorno di torri di fumo” in «Il vecchio e il bambino»).
Se il cantautore emiliano chiudeva entrambe le canzoni con una speranza di risurrezione – perché noi tutti sappiamo che se Dio muore è per tre giorni –, Lucio Dalla negli stessi anni prefigurava un avvenire senza speranza in «Anidride solforosa» (“ieri la città si vedeva a malapena / oggi la città si vede tutta intera / ieri il mare si scuoteva da fare pena / oggi il mare ha la barba tutta nera / e gli avvoltoi hanno per sorte / ad aiutare l’uomo a vincere la morte / infatti se il vento dell’inquinamento / tende a salire / l’aiutano a morire”) o «Il bambino di fumo» (“Il bambino di fumo piange sulla città / con gli occhi azzurri bruciati dal dolore / ma lassù / anche il pianto diventa carbone / ma lassù / solo smog”); se Pierangelo Bertoli nel 1976 denunciava la devastazione subita dal nostro pianeta esaltandone, al contempo, l’immortalità e la forza in «Eppure soffia» – un’ode alla Terra talmente attuale da spingere Luca Carboni a riportarlo in radio e cantarlo dal vivo in diverse occasioni in questo ventunesimo secolo -, Sergio Endrigo, invece, aveva portato al Festival di Sanremo nel 1970 «L’arca di Noè», brano nel quale con Iva Zanicchi cantava la fatica di essere uomini in un mondo nel quale “un toro è steso sulla sabbia / e il suo cuore perde cherosene” e l’ambizione di sfuggirvi e portare in salvo i propri affetti.
Quattro anni dopo sarà proprio Sergio Endrigo a musicare con Luis Bacalov un testo del genio Gianni Rodari e a incidere «Ci vuole un fiore», inno ecologista per eccellenza della musica italiana, una piccola potente guida all’importanza della difesa della natura e del pianeta rivolta a noi, bambini di ieri, e ai nostri figli, i bambini di oggi – ché il futuro è loro ma nelle nostre mani: ascoltiamoli, abbiamo una responsabilità enorme.
PLAYLIST
- Adriano Celentano – Il ragazzo della Via Gluck
- Adriano Celentano – Un albero di trenta piani
- Adriano Celentano – Il contadino
- Giorgio Gaber – Com’è bella la città
- Toto Cotugno – Voglio andare a vivere in campagna
- Al Bano & Romina Power – Cara terra mia
- Francesco Guccini – Noi non ci saremo
- Francesco Guccini – Il vecchio e il bambino
- Lucio Dalla – Anidride solforosa
- Lucio Dalla – Il bambino di fumo
- Pierangelo Bertoli – Eppure soffia
- Sergio Endrigo – L’arca di Noè
- Sergio Endrigo – Ci vuole un fiore
BONUS TRACKS
- Adriano Celentano – La storia di Serafino
- Nino Ferrer – Viva la campagna
- Antonello Venditti – Canzone per Seveso