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“Vi spiego perché gli Stati Uniti sono così avanti rispetto all’Europa sulla cannabis”. Parla Francesco Costa

Mentre in Europa la politica arranca, si divide, si fa condizionare, al di là dell’Oceano ormai l’hanno capito: la cannabis è un’opportunità e quanto successo negli ultimi anni lo dimostra. Ne abbiamo parlato con Francesco Costa, vicedirettore de Il Post, uno dei massimi esperti di politica americana in Italia, autore del podcast di successo “Da Costa a Costa” e da qualche mese sbarcato in libreria con il libro “Questa è l’America. Storie per capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro”, edito da Mondadori. 

11 Stati in cui la cannabis è legale per l’uso ricreativo (altri tre in rampa di lancio), la stragrande maggioranza che ha a vari livelli liberalizzato l’uso medico, il governo federale che ha approvato il cosiddetto Hemp Bill, che incentiva la coltivazione e la filiera della canapa. Tutti i sondaggi danno una netta maggioranza di persone a favore della legalizzazione. E’ sbocciato l’amore tra gli Stati Uniti e la cannabis? E se sì, perché?

“Gli Stati Uniti sono un Paese grandissimo e federale, quindi è difficile fare un discorso generalizzato. Detto questo, è vero che c’è una progressione che va in quella direzione. E che sembra sul punto di scollinare quello che è stato il principale ostacolo fino ad ora: per quanto i singoli Stati abbiano approvato norme a vari livelli, il governo federale considera ancora la produzione, l’uso e il consumo di cannabis a scopo ludico e medico come un’attività illecita. Questo crea un sacco di problemi, ne cito uno: ci sono molte banche che si rifiutano di aprire conti correnti a chi lavora con la cannabis e questo fa sì che in molti Stati questa industria sia basata ancora sul contante”.

Addirittura Trump, che durante la campagna elettorale del 2016 e nel corso dei primi anni della sua amministrazione aveva dichiarato guerra agli Stati che legalizzano, si è via via defilato e ha ammainato la bandiera del proibizionismo. Un segnale di intelligenza da parte del presidente americano?

“Soprattutto è il segnale che opporsi alla produzione e al commercio della cannabis non è un tema che porta voti. Farne una battaglia di bandiera non conviene a coloro che si sono sempre dichiarati contrari e questo è un indice che fa essere molto ottimista l’industria in generale. Quando le cose sono così, negli Stati Uniti, di solito, quello che fa il governo federale è chiudere un occhio nei confronti delle iniziative dei singoli Stati. Washington, volendo, potrebbe trascinare in tribunale gli Stati che hanno legalizzato la marijuana a scopo ricreativo, ma non lo fa perché non ha senso che lo faccia. Ciò che potrebbe sbloccare la situazione è una decisione del governo federale oppure una mossa dei tribunali, della Corte Suprema per esempio, che potrebbe esprimersi dicendo che questo divieto non è argomentato da motivazioni razionali”. 

Tra I candidati alle primarie democratiche Bernie Sanders, poi ritiratosi dalla corsa, è stato l’unico che ha parlato esplicitamente di una legge per legalizzazione la cannabis in tutti gli Stati. Gli altri, a cominciare da Joe Biden, o non ne hanno parlato o si sono tenuti sul vago. E’ ancora rischioso affrontare la questione a viso aperto?

“E’ un tema ancora percepito come rischioso, ma non credo realmente che lo sia. Tutti sono d’accordo sulla cannabis ad uso medico, su quello non ci sono divisioni, è una questione ampiamente sdoganata anche nei settori del partito democratico più moderati o conservatori dal punto di vista sociale. Sul piano dell’uso a scopo ricreativo, credo che stiano dando una grossa spinta in senso liberalizzatrice le esperienze degli Stati che hanno già attraversato questo ponte, su tutti la California, che è uno Stato che vale una potenza mondiale in termini di popolazione, di Pil e di rilevanza. Non credo che un eventuale presidente Biden si troverà timido in questo senso: sicuramente non metterà bastoni tra le ruote a nessuno e, perché no, potrebbe spingere il Congresso ad approvare una norma, magari all’interno di un pacchetto più ampio, per la legalizzazione della vendita ricreativa di cannabis a livello federale”. 

Il caso che fa scuola è quello del Colorado, il primo Stato a legalizzare nel 2014. I dati parlano di un calo drastico del mercato nero, di consumi che non sono cresciuti, di un tornaconto economico – sotto forma di introiti per lo Stato e creazione di posti di lavoro – di tutto rilievo. Tanto che, appunto, l’esempio è stato seguito da altri Stati e anche dal Canada a livello nazionale. 

“Quello del Colorado è un caso molto interessante anche dal punto di vista anche politico. Il governatore all’epoca era John Hickenlooper – oggi ritiratosi prestissimo dalla corsa alla Casa Bianca e candidato sempre in Colorado per il Senato – e non è uno che si possa ricondurre all’area di Sanders, non è un socialista né un radicale. Anzi, è un uomo molto moderato, che viene dal mondo del business. Ma proprio per questo è un pragmatico e si è reso conto non solo che gli argomenti contro la legalizzazione erano deboli (lui all’inizio era contrario), ma che l’argomento forte era di tipo economico. Siamo negli anni dopo la crisi, quell’area del Paese nel 2014 faceva fatica a riprendersi e invece oggi il sud-ovest degli Stati Uniti è un’area che cresce a ritmi altissimi. Questo per dire che non serve essere un radicale per superare i pregiudizi e guardare alle cose con il giusto approccio”.

Davanti a tutto questo, viene inevitabile chiedersi perché l’Europa sia così indietro da questo punto di vista. 

“Credo che il sistema politico americano, essendo incentrato su un legame diretto tra i politici e gli elettori, riduca molto l’influenza culturale che in Italia, per esempio, hanno le organizzazioni religiose e tutte le persone e gli enti che storicamente considerano la cannabis come una droga al pari delle altre sostanze stupefacenti, dalla cocaina all’eroina. Dall’altra parte dell’Oceano mi sembrano più pronti ad affrancarsi rispetto a queste convinzioni che risalgono a venti o trent’anni fa, mentre l’Europa appare molto meno dinamica anche nel rinnovare la sua classe politica. C’è ancora uno stigma in Italia sul consumo di cannabis ad uso ricreativo, mentre negli Stati Uniti il racconto è molto diverso e questo ha contribuito a superare un enorme massa di pregiudizi anche a livello di cultura popolare”. 

Che poi è il motivo per cui la destra e in particolare Salvini – che in molti aspetti prende esempio dal presidente Usa – continua invece a ritenere utile al consolidamento del suo consenso la lotta comunicativa alla cannabis, addirittura nella sua forma light. 

“Anche perché noi abbiamo un’idea che il consumo di droga vada combattuto esclusivamente con la repressione. Da questo punto di vista, invece, l’America ha fatto enormi passi avanti. Ha dovuto cambiare atteggiamento al modo in cui ci si rapporta con chi consuma sostanze stupefacenti, anche le più pesanti. Ha dovuto farlo di fronte al dramma dei farmaci antidolorifici che hanno portato all’abuso di eroina, ha dovuto mettere le mani dentro questi temi, andando oltre la retorica che invece viene ancora utilizzata in Italia”. 

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