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Qualche luce, molte ombre. Ma noi pazienti continuiamo a lottare per la nostra libertà

Il 2020 è stato un anno diverso per tutti. La pandemia e le restrizioni per il Covid hanno cambiato le nostre abitudini. La canapa ha però aiutato ad affrontare questo periodo. Nei Paesi dove è legale, la cannabis è stata considerata un bene essenziale e un percorso di sblocco a livello internazionale è ormai iniziato. In Italia il settore resiste come può. Dal primo lockdown sono aumentate le vendite di cannabis light a domicilio. E sono aumentati i pazienti, sia grazie al fatto che dal 2018 la cannabis può essere prescritta come un normale analgesico, sia grazie a servizi medici on-line (a pagamento) con cui si ottengono prescrizioni e cannabis terapeutica direttamente a casa.

Ma oltre a questo non c’è stata quella scossa che da anni chiediamo dalla politica italiana. Unico punto a favore: l’inserimento nelle piante officinali da estrazione.

Dividi et impera

In Italia fino al giugno 2019 esisteva un settore canapa abbastanza unito, e aveva oltre 30.000 persone che ci lavoravano. Ora sono rimaste circa 4.000 aziende e 12.000 persone coinvolte. Secondo la legge 242/16, nel luglio 2017 sarebbero dovuti essere definiti i limiti di THC sugli alimenti, ma furono decisi in un secondo momento, perché quando il settore canapa era compatto non sarebbe mai passato un limite rasente lo zero. Tale limite è stato fissato nel 2019 approfittando della confusione dopo il boom della cannabis light che ha visto l’entrata di tanti nuovi imprenditori, a volte privi di conoscenza e soprattutto di coscienza.

Nel 2020 in Italia praticamente non esistono coltivazioni per produrre semi a livello alimentare. Di conseguenza non esiste seme di canapa italiano, e l’olio di canapa italiano è ottenuto con semi comprati dall’estero. La politica ha fatto perdere le speranze e la voglia ad alcuni operatori del settore, che hanno tentato negli anni passati di ottenere fondi pubblici, e ha fatto scappare gli investitori privati. Le (non ben normate) infiorescenze restano il motore portante del settore canapa italiano. La frustrazione è alta. Nonostante la decisione della commissione europea, che colloca il CBD come alimento, non a tutti forse è chiaro che non possono essere realizzati prodotti alimentari se questi contengono il fiore. Ora sembra che solo le aziende che catalogheranno il proprio prodotto alimentare come “Novel Food”, con un importante investimento economico, potranno farlo. In Italia tante aziende sono state penalizzate. Il risultato è che i prodotti esteri cominciano ad essere leader nell’alimentare come in cosmetica, l’arrivo di prodotti Garnier e di altri colossi ne è la conferma.

Da quando mi occupo di canapa, questa è una frase che ripeto spesso: “Quando ci invaderà la Coca-Cola, a noi al massimo sarà permesso produrre il chinotto”. Non a caso è dall’estero che sono arrivate le notizie migliori:

– l’innalzamento da 0.2 a 0.3 % dei limiti di THC nella canapa industriale a livello americano e europeo (che ci permette di esportare una maggiore quantità di biomassa di qualità);

– l’assoluzione di Kanavape per mano della corte di Giustizia Europea a fine novembre, ha tolto lo spettro di un blocco totale per il mercato europeo del CBD;

– le varie legalizzazioni mediche e ludiche in America, in Messico, Colombia Argentina e addirittura Thailandia hanno permesso lo scorso dicembre all’ONU di riclassificare la cannabis riconoscendole un valore come medicina;

– l’approvazione del CBD come alimento da parte della commissione europea :

Anche in Italia ci aspettavamo qualcosa di positivo. Quanto successo sull’emendamento sulla cannabis light è un segnale negativo. Sebbene l’emendamento non sia passato (per soli due voti), c’è da applaudire l’onorevole Michele Sodano per la sua tenacia. Applausi anche per il senatore Matteo Mantero, che ci prova da più di un anno. E dal ministro Speranza non è arrivato quanto “sperato”, anzi chiesto, da tanti pazienti: la libertà di autoproduzione. Anzi, è arrivato un decreto che limita e complica le spedizioni per le poche farmacie galeniche italiane che vendono cannabis terapeutica. Un altro decreto (per fortuna sospeso) rendeva illegale l’olio di CBD venduto nei canapa shop.

Per ora la “speranza” di avere un ministero della Salute interessato alla cannabis terapeutica è rimasta tale, nonostante le buone premesse. E, nonostante non ci sia più la convenzione dell’ONU con cui fino ad oggi è stato bloccato qualsiasi progetto di produzione nazionale di cannabis medicinale. In questa attesa c’è da applaudire l’opera dell’onorevole Riccardo Magi, che oltre ad aver donato la cannabis all’amico Walter De Benedetto, quest’anno ha dimostrato al mondo politico di essere un ottimo stratega facendo approvare nuovi fondi per la cannabis terapeutica. Inoltre l’attacco alla Lega sul disegno di legge “droga zero”, con una con controproposta che permetterebbe l’autocoltivazione personale fa capire quanto Magi abbia ben chiaro quale sia il primo passo per eliminare le politiche proibizioniste. 

Ci auguriamo davvero che, dopo un anno in lockdown, nel 2021 sia le persone che la canapa in Italia potranno essere sempre più libere.

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