Le carceri italiane sono piccole, sovraffollate e, soprattutto, fanno parte di un sistema che non reinserisce nella società. Lo conferma l’alto tasso di recidiva. Insomma, “vanno ripensate”. Lo evidenzia Antigone, l’associazione che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale, che nei giorni scorsi ha presentato il XVIII rapporto annuale sulle condizioni della detenzione in Italia.
Analisi, dati, condizioni, mancanze, tutto messo nero su bianco dopo 2mila visite complessive, più di 100 l’anno, per osservare, comprendere e denunciare. “È il momento delle riforme”, sintetizza il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella. Anche “per dare un senso alla pena”. Sulla stessa linea anche Stefano Anastasia, garante dei diritti dei detenuti del Lazio, che sottolinea il bisogno di “ridefinire il volto costituzionale della pena che in questi due anni di pandemia da Covid è stato stravolto” con un sistema che “va ripensato”.
La fotografia scattata dall’associazione è impietosa. Il dato che balza agli occhi è quello che segnala come nel 25% degli istituti visitati le celle apparivano più piccole dei 3 metri quadri che dovrebbero essere garantiti a ciascun detenuto, creando così “condizioni di affollamento evidentemente invivibili”.
Quello del sovraffollamento – come lo ha sempre definito la ministra della Giustizia Marta Cartabia – è “il primo e più grave tra tutti i problemi”. Il totale dei presenti, “drasticamente sceso durante il primo anno della pandemia, è tornato a crescere”, si legge nel rapporto. Si è passati infatti “dalle 53.364 presenze della fine del 2020 alle 54.134 della fine del 2021. A fine marzo 2022, i detenuti nelle nostre carceri erano 54.609. Il tasso di affollamento ufficiale medio era del 107,4%”. Ma quello reale, assicura, “è assai più alto”.
In questo quadro la relazione tra la legislazione sulle droghe leggere e in particolare sulla cannabis e il sovraffollamento carcerario è sotto gli occhi di tutti. Al 30 giugno del 2021 erano 19.260 le persone detenute per violazione del Testo Unico (il 15,1% sul totale delle imputazioni). Di queste, 658 erano donne e 18.602 uomini e il 33% era composto da stranieri. Al di là del reato commesso, oltre un detenuto su quattro è tossicodipendente (erano 14.148, il 26,5% del totale, alla fine dello scorso anno). Nel momento storico attuale il dato è ancor più preoccupante, se si pensa alla maggiore esposizione a malattie infettive cui sono soggetti.
Nel corso del 2020, il 38,6% delle persone che hanno fatto ingresso in carcere era costituito da tossicodipendenti. Negli ultimi quindici anni, tra il 2005 e il 2020, vi è stata un’enorme crescita – pari a 10 punti percentuali – nella presenza in carcere di detenuti tossicodipendenti.
Il sovraffollamento, causa a propria volta di diritti negati, sarebbe risolto da una diversa normativa sulle droghe.
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