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Una legislatura andata a vuoto

Sono giorni bui per gli antiproibizionisti italiani. L’esito elettorale ha premiato le destre, che, specialmente in Italia, fanno della retorica contro le droghe uno dei pochi collanti dei rispettivi programmi politici. Da Fratelli d’Italia ai cosiddetti moderati, da Forza Italia di Gasparri alla Lega di Salvini: cambia poco, l’omologazione culturale è quella che fonda le sue certezze su filastrocche del tipo “si comincia con una canna e si finisce con una siringa”. Questo è il livello, inutile girarci troppo intorno. Inutile, quindi, sperare che possa succedere qualcosa di positivo. Sarebbe già un mezzo miracolo, anzi, mantenere lo status quo. 

Uno scenario tenebroso. A cui, purtroppo, non fa da contraltare quanto successo negli anni appena passati. La diciottesima legislatura, infatti, non lascia in eredità passi avanti dal punto di vista legislativo. La situazione è di completo stallo. Eppure le occasioni non sono mancate e le premesse erano molto diverse. Va detto che non è stata una legislatura lineare, tutt’altro. Abbiamo avuto tre governi completamente diversi l’uno dall’altro, un Parlamento in cui ben 400 tra deputati e senatori hanno “cambiato casacca” dal 2018 ad oggi, numerose proposte di legge presentate o paventate, tantissime parole al vento. 

Facciamo allora un passo indietro. Andiamo appunto al 2018, all’indomani delle elezioni politiche. Sulla carta vince il centrodestra, ma non ha i numeri per governare. Il primo partito è il Movimento 5 Stelle, che ottiene un exploit oltre ogni previsione. Un segnale apparentemente importante, visto che i grillini erano di gran lunga i più convinti sostenitori di una regolamentazione dell’uso e del consumo di cannabis. L’allora leader, Luigi Di Maio, faceva parte dell’intergruppo parlamentare che nella precedente legislatura aveva fissato nella legalizzazione il traguardo più auspicabile.

I 5 Stelle, però, da soli non possono governare. Dopo una lunga trattativa nasce il governo giallo-verde, insieme alla Lega. A capo dell’esecutivo un nome considerato di garanzia, di sintesi tra due movimenti politici così diversi tra loro. È un avvocato pugliese, di stanza a Firenze. Si chiama Giuseppe Conte, nessuna storia politica alle spalle, sconosciuto ai più. Purtroppo le speranze antiproibizioniste si scontrano subito con la realpolitik messa in campo dai grillini. Troppo forti i veti della Lega e troppo timide le istanze dei pentastellati per portare avanti quanto promesso in campagna elettorale. 

Anzi, al contrario, sale in cattedra il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che nella sua crociata contro “le droghe” dichiara guerra addirittura alla cannabis light. Sono i mesi delle circolari del Viminale, dei sequestri, delle sparate proto-pubblicitarie, della grande incertezza. Mesi che mettono in ginocchio un settore in piena espansione, che non tornerà mai ai livelli pre-2018. La forza politica della Lega e di Salvini sembra incontenibile. Alle europee del 2019 il partito arriva a quota 34% ribaltando i rapporti di forza con i 5 Stelle. Numeri che portano il leader della Lega ad una sorta di status di onnipotenza. Il leader leghista, in costume e sorseggiando moijto dalla spiaggia del Papeete, chiede “pieni poteri”, ma sbaglia tutti i calcoli e si ritrova fuori dalla maggioranza e lontano dal governo. Con un’operazione non poco spregiudicata, nasce il governo giallo-rosso: a sostituire la Lega, nell’alleanza con il Movimento, arriva il Partito democratico, guidato in quel periodo da Nicola Zingaretti. A sostenere il governo anche Italia Viva, la neonata formazione di Matteo Renzi.

Sulla carta sono le migliori condizioni possibili per registrare finalmente qualche passo in avanti. Ma si capisce ben presto che la realtà è purtroppo ben diversa. Nessuno dei due principali azionisti della nuova maggioranza si intesta la battaglia ai massimi livelli. In Aula viene bocciata una timidissima proposta che metterebbe finalmente fine alle incertezze legate alla commercializzazione della cannabis light. Addirittura il ministro della Salute Roberto Speranza – in teoria uno degli esponenti più di sinistra dell’esecutivo – mette i bastoni tra le ruote alle farmacie nella diffusione di cannabis terapeutica. 

Ma se a livello legislativo nulla si muove, non si può certo dire lo stesso di ciò che succede nel Paese. La spinta alla legalizzazione si fa sempre più forte. Nascono nuove realtà – su tutte Meglio Legale – che rilanciano la battaglia antiproibizionista. Una sponda arriva dalla magistratura, con la sentenza 12348/2020 delle Sezioni Unite penali della Cassazione, secondo la quale non è punibile chi coltiva cannabis in casa per uso personale, purché si parli di quantità minime, prodotte con strumenti e modalità rudimentali. 

Non è molto, ma è quanto basta per suscitare entusiasmo nel Paese e dare una scossa alla politica. Con un’abile operazione parlamentare, si sfrutta a dovere la discussione sulla proposta di legge “droga zero”, depositata in commissione Giustizia alla Camera dalla Lega ai tempi del governo giallo-verde, per ribaltarla, presentare e adottare un testo base proprio sulla non punibilità della coltivazione domestica di quattro piantine di cannabis.

Nel frattempo, grazie all’azione decisa di Meglio Legale e delle tante realtà promotrici (tra cui BeLeaf Magazine) vengono raccolte ben 600mila firme in poche settimane per lanciare un referendum sulla legalizzazione. Referendum che, sulla base dei risultati di un sondaggio di Swg promosso proprio da BeLeaf in collaborazione con Meglio Legale, avrebbe portato il 58% degli italiani ad esprimersi favorevolmente. È il momento in cui sia nel palazzo – dove nel frattempo Mario Draghi ha preso il posto di Giuseppe Conte e la maggioranza giallo-rossa soppiantata da una di unità nazionale – sia nel Paese si respira un’aria finalmente piena di speranza.

Speranza che, però, viene spenta brutalmente dalla Corte Costituzionale, che boccia il quesito sulla cannabis (oltre che quello sull’eutanasia) con motivazioni quantomeno discutibili. Si tratta di una vera e propria mazzata sulle velleità del movimento antiproibizionista. Nel frattempo la proposta di legge Magi-Licatini viene approvata in commissione Giustizia a Montecitorio, ma non farà mai in tempo ad approdare in Aula per la votazione finale. La fine di questa “triste storia”, infatti, coincide con i nostri giorni. La fine del governo Draghi, la campagna elettorale più brutta della storia, la vittoria delle destre, la nascita del nuovo governo. E soprattutto, la parola cannabis che sparisce dall’agenda politica e mediatica. In bocca al lupo a tutti noi.

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