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Distribuzione controllata di cannabis, la Svizzera ci prova. E l’Italia è ferma al palo

“Nonostante il suo divieto, nella Confederazione circa 200mila persone consumano regolarmente canapa con un tenore di THC superiore all’1% per scopi ricreativi“. A fotografare la realtà è il ministro della Sanità svizzero Alain Berset. Una realtà molto semplice, che vale in Svizzera come nel resto d’Europa: il proibizionismo non funziona. Lo sappiamo bene in Italia, dove, nonostante l’ondata ideologica guidata dalla Lega, i consumi di cannabis sono al top in Europa, secondi solo a quelli della Francia (non a caso un altro Paese in cui vige una delle legislazioni più punitive).

Ci sono vari modi di affrontare la realtà. C’è la via propagandistico-ideologica della demonizzazione, che prevede la diffusione massiccia di disinformazione interessata, l’irrigidimento dei controlli che arrivano persino dentro le classi degli istituti superiori, la banalizzazione che porta a confondere “droghe” leggere come la cannabis con droghe (senza virgolette) vere come cocaina o eroina. E’ la linea del “si comincia con uno spinello e si finisce con una siringa”, che non ha portato a nulla di buono finora (se non al ritorno della siringa, che tutti fingono di non vedere).

Poi ci sono le vie coraggiose della legalizzazione. E’ quella che è stata scelta, per esempio, dal governo canadese, che ha liberalizzato su tutto il suo territorio, il consumo di marijuana a scopo ricreativo, o di tanti Stati americani, dalla California al Colorado, dal Michigan al Massachusetts. Un percorso apparentemente travolgente, tanto che in pochi mesi anche il presidente (una volta) proibizionista Donald Trump sta valutando aperture di ogni tipo nei confronti della canapa e della cannabis, forse convinto dal fatto che l’ultimo sondaggio condotto a livello nazionale dal Pew Research Center ha svelato che il 62% degli americani è favorevole alla legalizzazione.

Tra questi due antipodi si collocano invece le posizioni contraddistinte dal pragmatismo. E’ questo il caso della Svizzera, che da sempre affronta la questione “droghe” senza farsi condizionare troppo dagli steccati ideologici. Per esempio non tutti sanno che la canapa legale (o cannabis light) è disponibile al di là del confine in comodi pacchetti simili a quelli delle sigarette e viene venduta nelle edicole e nei supermercati, purché abbia un livello di THC inferiore all’1%, mentre in Italia si fa la guerra di negozi che si permettono di commerciare infiorescenze con lo 0,2%.

Ebbene, nonostante questo, tornando a quanto rivelava Alain Berset, circa 200mila persone in Svizzera consumano regolarmente marijuana considerata illegale, con livelli di THC ben più alti di quelli consentiti. “Questa situazione – spiega il membro del consiglio federale elvetico – pone diversi problemi: permette a un importante mercato nero di espandersi e la qualità dei prodotti non è sottoposta ad alcun controllo. Inoltre, i costi della repressione sono elevati ed è difficile raggiungere i consumatori con misure di prevenzione”.

Secondo Berset, “senza rimettere in discussione il divieto generale, devono poter essere testati altri modelli disciplinari, che tengano conto della realtà attuale”. L’articolo relativo alle sperimentazioni pilota, iscritto nella legge federale sugli stupefacenti, prevede che i Comuni possano condurre studi scientifici, che serviranno a determinare i vantaggi e gli svantaggi di altre forme di disciplinamento. Berset ha tenuto a sottolineare che, “qualora il parlamento acconsentisse, tali test saranno disciplinati in modo rigido”. Per garantire la protezione della gioventù, i minorenni ne saranno esclusi. Le persone maggiorenni che desiderano partecipare allo studio dovranno provare di consumare già canapa. Inoltre, solo le persone domiciliate nel Comune in cui si svolgerà uno studio potranno parteciparvi e le altre sostanze psicotrope non saranno oggetto di sperimentazioni.

I test pilota saranno limitati nel tempo ad al massimo cinque anni e prorogabili una sola volta per due anni. I partecipanti potranno acquistare soltanto una quantità limitata (10 grammi) di cannabis al mese, che non potranno cedere a terzi o consumare in luoghi pubblici. Inoltre anche l’articolo di legge sulle sperimentazioni pilota avrà una validità limitata a dieci anni.

Non si tratta di una prima tappa verso una liberalizzazione“, ha insistito il ministro svizzero. C’è da credergli. Però è impossibile non sottolineare come a volte sia sufficiente applicare un minimo di buon senso per provare ad affrontare i problemi dal verso giusto.

In questo senso è di pochi giorni fa la conferma che le politiche restrittive sull’utilizzo di cannabis non scoraggiano i giovani dal consumarla. Anzi, come rivela uno studio dell’Università del Kent, da poco pubblicato sull’International Journal of Drug Policy, che ha analizzato i comportamenti di più di 100mila adolescenti in 38 Paesi del mondo, politiche più libertarie non aumentano il consumo, mentre portano notevoli benefici in termini di qualità del prodotto commercializzato (a differenza di quello “tagliato” che si trova per strada), di lotta alla criminalità organizzata, di introiti per le casse pubbliche e di ottimizzazione nella gestione dei flussi carcerari.

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