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La quarantena e la cannabis, il caso dell’Oregon e l’incertezza dell’Italia

Rubrica “Il Termometro Cannabico” a cura di Marta Lispi

Cari cannabici, il settore della canapa trascende dall’economia generale e i canapicoltori sono nella fase più imprevedibile della loro carriera. Con il piacevole rischio di esaurire i magazzini e l’impossibilità di accontentare la richiesta per carenza di manodopera.

La sola rivendita su strada è tramite i distributori automatici, dagli incassi relativi rispetto all’incontenibile richiesta per le vendite online. I rivenditori italiani di cannabis light dichiarano: “Gli incassi del primo mese di quarantena sono equiparabili al fatturato dell’intero 2019”.

Per l’ennesima volta ci dimostriamo preparati nella teoria e incostanti nella pratica, miopi di fronte alle evidenze logiche che palesano la cannabis light come bene necessario ed essenziale al consumatore abituale.Le vendite sono impennate, i cittadini nella solitudine domestica prediligono il rilassamento naturale beneficiando delle proprietà distensive dei cannabinoidi (letteralmente del fitocomplesso del fiore di cannabis, includendo terpeni e flavonoidi).

In Oregon come si stanno comportando?

L’ Oregon Health Authority, OHA, ha pubblicato delle linee guida sulla base dei Centers for Disease Control and Prevention (“CDC”), norme temporanee per i dispensari con regolare licenza affinché possano proseguire il loro servizio. La vendita al dettaglio di cannabis non è stata inserita nell’elenco delle attività obbligate alla chiusura, come palestre, parchi, centri estetici. Al contrario, è stata garantita la consegna a domicilio dalla Oregon Liquor Control Commission (la “OLCC”) che ha emesso norme specifiche.

E’ stato incoraggiato il telelavoro quando possibile, altrimenti nelle aree pubbliche si devono mantenere le regole di prevenzione universali: distanza, igiene, ristrettezze negli spostamenti non necessari, delegando alla responsabilità dell’individuo il senso civico.

Una nota esemplificativa potrebbe essere la rigidità dell’LCC, la quale ha garantito un servizio necessario chiarendo qualora le regole non saranno rispettate potrebbe essere sospeso per l’intero settore, considerandolo un interruzione della sicurezza pubblica.

Le piccole attività essenziali stanno soffrendo la chiusura parziale o totale, forzata o forzosa, pur essendo ambienti maggiormente supervisionabili anche a vista. Questo non per giudicare inadeguate le misure di massima sicurezza, bensì l’incapacità di tutela reale e accoglienza sociale del cittadino.

Ricordando dicembre 2019, dopo la sentenza della Cassazione sulla produzione domestica, il premier Conte disse: “È chiaro che su questi temi non può un governo prendere una posizione, farne oggetto di un confronto e poi andare in Parlamento…Non può un governo imporre una soluzione dopo qualche vertice. La sede più opportuna sono i rappresentanti dei cittadini”.

Auspichiamo che con la quarantena non siano cambiati i termini di confronto proposti dal Presidente del Consiglio.

Rubrica di Marta Lispi “Il Termometro Cannabico” pubblicata su Primero Roma

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